Namibia fra uranio, diamanti e minerali strategici
26 giugno 2023
Un neo colonialismo pericoloso per il Continente africano depredato ancora di materie prime
Risale alla fine dell'anno scorso la notizia che – surclassata da tempo dalla Cina – l'Unione europea si riproponeva come acquirente di primo piano dei metalli strategici (litio, cobalto, terre rare...) del continente africano. E quindi della Namibia, uno dei maggiori produttori mondiali non solo di uranio (fornitrice di Francia, USA, Cina, India...), ma anche di litio e terre rare. Indispensabili, oltre che per le batterie dei veicoli elettrici, anche per l'eolico a magneti permanenti.
Con l'annuncio (ottobre 2022) dell'avvenuta firma di un accordo in tal senso. Notizia data pubblicamente da Tom Alweendo, ministro namibiano delle Miniere e dell'Energia.
Rivolgersi al Continente africano è diventato quasi obbligatorio per l'Unione europea a seguito dei recenti "contenziosi" (vuoi per le differenti posizioni sulla guerra in Ucraina, vuoi per non inimicarsi Washington). Anche per potersi rifornire a una fonte alternativa (rispetto a quella cinese) in caso di crisi globali ulteriori.
Nonostante l'assicurazione formale che la trasformazione del materiale grezzo sarebbe avvenuta a livello locale, la questione rimaneva ancora aperta.
Ma proprio in questi giorni (13 giugno 2023) con un annuncio del Consiglio dei ministri letto in televisione, la Namibia alla fine ha confermato definitivamente una decisione storica.
Quella di «vietare l'esportazione del materiale di litio e altri materiali strategici (grafite, cobalto, manganese...) che non siano stati precedentemente lavorati in loco». Anche se, stando sempre alla dichiarazione, tale affermazione non dovrebbe impedire «l'esportazione di piccole quantità» dei minerali citati.
Con questa decisione si intende «favorire lo sviluppo dell'industria di trasformazione locale dei metalli critici».
Sempre il ministro delle Miniere e dell'Energia, un mese fa aveva anticipato l'eventualità che lo Stato acquisisse quote di minoranza delle società minerarie.
In quanto «le risorse naturali sotto e sopra la superficie terrestre appartengono allo stato se non sono legalmente detenute altrove».
Ovviamente non siamo alla nazionalizzazione, ma sarebbe – ancora forse – già un passo avanti in senso "anti-neocoloniale".
In questo momento il settore minerario namibiano sta attraendo investimenti sempre più cospicui e numerosi da parte delle compagnie minerarie.
Sia per litio, stagno e tantalio (Andrada Mining, già AfriTin Mining,) che per le terre rare (Namibia Critical Metals).
Altri investitori di rilievo: E-Tech Resources e Ondoto Rare Earth. Entrambi avrebbero intenzione di creare una joint venture insieme a Namibia Critical Metals per realizzare un impianto in loco per la separazione delle terre rare.
Dal Sudafrica, ai primi di giugno, Anthony Viljoen, PDG d'Andrada Mining, auspicava un ulteriore aumento degli investimenti in Namibia. Un paese, declamava «dalla geologia semplicemente affascinante, in particolare nella regione di Elongo». Essendo lecito sospettare che le sue non fossero considerazioni estetiche, tantomeno naturalistiche, sarebbe forse il caso di preavvertire gli abitanti della regione (ricca appunto di litio, uranio e stagno).
Anche se non tutti nel mondo (v. Il Fraser Institute, secondo cui la Namibia si collocherebbe addirittura solo al 38° posto mondiale per le politiche minerarie) condividono tale affermazioni entusiastiche, l'Andrada Mining in Namibia rimane operativa con vari progetti e si prepara a potenziarli ulteriormente. In particolare con Nai-Nais (per stagno, tantalio e litio), B1C1 (tantalio e stagno), Brandberg West (stagno), Uis (miniera già nota per la rilevante estrazione di stagno, ora anche di litio). Da segnalare che (sempre stando a notizie diffuse recentemente, nel giugno 2023) la compagnia mineraria (finora quotata unicamente sul mercato AIM della Borsa di Londra), si sarebbe recentemente collocata sulla piazza di mercato OTCQB negli USA. Così da favorire l'acquisizione di azioni da parte degli investitori statunitensi.
Fossi un indigeno namibiano inizierei a preoccuparmi, ma comunque staremo a vedere (non potendo fare altro).
Foto di Wolkenkratzer