«Aiutiamo chi fugge dall’Ucraina»
24 marzo 2022
Il vescovo della Chiesa metodista unita in Polonia racconta l’impegno delle comunità locali: permane, nel frattempo, il dramma dei profughi di varia provenienza al confine bielorusso
Il numero complessivo dei rifugiati che dal 24 febbraio 2022, data dell’avvio dell'invasione da parte russa, hanno lasciato l’Ucraina verso i paesi vicini è stimato al 18 marzo in oltre 3,2 milioni. Due milioni di persone sono entrate nella sola Polonia, e se in un discreto numero si sono spostate in altre nazioni, un’ampia maggioranza si è invece fermata. Uno sforzo organizzativo enorme sta impegnando governo e società civile, ciascuno secondo le proprie possibilità, anche per la velocità con cui questi flussi si stanno presentando alle frontiere.
Abbiamo raggiunto Andrzej Malicki, vescovo della Chiesa metodista unita (Umc) di Polonia e sovrintendente nazionale per la stessa Umc.
– Qual è l’impegno della Chiesa metodista polacca in questa crisi dei rifugiati?
«La Umc, Chiesa metodista unita in Polonia, è abbastanza piccola, conta circa 4000 membri suddivisi in 45 comunità locali, la maggior parte coinvolte nell’aiuto ai rifugiati. Ospitiamo le persone in fuga nei nostri appartamenti e negli edifici delle chiese. Forniamo cibo e cerchiamo di organizzare le varie necessità. Nel nostro edificio nella sede della chiesa a Varsavia ospitiamo tre famiglie (11 persone) e nella nostra cappella ospitiamo dalle 10 alle 30 persone in transito, per una o due notti. La settimana scorsa una signora ha dato alla luce una bambina, chiamata Miroslava, proprio in chiesa: si trattava di una famiglia in fuga da Charkiv verso la Germania, e la loro figlia è nata qui a Varsavia. La maggior parte di queste famiglie ha da 3 a 8 figli».
– È possibile prendere contatti con i partner delle chiese o con amici in Ucraina? Avete qualche informazione dalle zone di guerra?
«La nostra chiesa nella cittadina di Puławy, non lontana dal confine, ha un contatto diretto a Kiev con il pastore Oleg Starodubets, sovrintendente del distretto ucraino per la Chiesa metodista unita. Molti dei loro membri hanno trovato un rifugio sicuro nei locali della chiesa nella capitale. Con l’intensificarsi dei bombardamenti il pastore, sua moglie e le loro gemelle di 9 anni si sono spostati più a ovest, a Leopoli, e da lì tentano di coordinare gli aiuti ai membri di chiesa rimasti in Ucraina».
– Vi aspettavate una tale escalation e un così rapido precipitare verso la guerra?
«Per me è stata una grande sorpresa. Pensavo che le tensioni fra le due nazioni si potessero risolvere a livello diplomatico. L’Ucraina è un paese libero e democratico come tutti gli altri in Europa, e come tale deve venire trattato».
– Che cosa si aspetta dall’Europa, dal resto del mondo?
«Noi come chiesa in Polonia chiediamo all’Europa e a tutto il mondo di pregare e di aiutare l’Ucraina. Abbiamo anche bisogno di sostegno finanziario per organizzare ogni tipo di aiuto per coloro che stanno arrivando in Polonia. In questo momento ci sono circa 2 milioni di rifugiati nel nostro paese. Le nostre comunità sono piccole e hanno bisogno di sostegno per aiutare chi ne ha bisogno. Anche perché alcuni fra questi rifugiati dopo aver lasciato le case che sono state bombardate, quindi non hanno un posto dove tornare. Cercheremo di organizzare lezioni di lingua polacca non appena troveremo qualcuno che possa insegnare il polacco agli ucraini, perché i tempi di permanenza non saranno brevi».
– Arrivano informazioni che raccontano di rifugiati non ucraini bloccati al confine, a differenza di quanto accade con i cittadini ucraini. Poi c’è il tema del confine polacco-bielorusso, dove le persone migranti provenienti prevalentemente dal Medio Oriente vengono bloccate e respinte, costrette a vagare nel gelo delle foreste e delle paludi. Quali sono le vostre informazioni?
«Riceviamo informazioni sull’attraversamento del confine polacco-bielorusso da parte di rifugiati. Le informazioni che abbiamo in tal senso da parte dei mezzi di comunicazione polacchi non sono molte. Queste persone sono state usate dal governo bielorusso per fare pressione sull’Europa, ma a tutti coloro che arrivano in Polonia viene garantito soccorso».
Il problema è proprio qui, arrivarci in Polonia. La costruzione di un muro di filo spinato di oltre 100 chilometri da parte del governo polacco, al confine con la Bielorussia, non equivale proprio a un cartello di benvenuto, e l’enorme ipocrisia in corso da questo punto di vista è uno scandalo che dovrebbe interrogare l’Europa tutta, capace di organizzarsi in men che non si dica per accogliere giustamente milioni di profughi, eppure chiusa a chi fugge da orrori più distanti, con colore della pelle differente. Molte e profonde le riflessioni che tutto ciò, a ogni livello, politico e sociale, dovrebbe suscitare.