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L'esistenza dell'invisibile che ci mette paura

Un filosofo ambientale e una fotografa raccontano l'eredità di Chernobyl 

«In una fotografia, l’impronta della luce è assai più lontana dall’essere che l’ha emessa o riflessa rispetto al fotogramma, in cui la linea può essere se stessa». Sono parole di Michael Marder, filosofo ambientale che ha alle spalle una lunga esperienza di ricerca su Chernobyl e sulle conseguenze dell’incidente nucleare del 1986, e che le ha scelte per accompagnare una delle prime immagini del libro Chernobyl Herbarium. La vita dopo il disastro nucleare*. Un libro particolare che raccoglie da un lato 35 fotogrammi realizzati dall’artista Anaïs Tondeur con la tecnica della sovrapposizione su carta fotosensibile di piante raccolte nella “zona di esclusione” di Chernobyl e dall’altro le riflessioni di Marder che da bambino, per motivi di salute, si trovava di passaggio con la famiglia nella zona quando è avvenuto il disastro nucleare e che per tutta la vita ha riflettuto sulla gestione della crisi, sulle conseguenze, sui riflessi psicologici di chi ha vissuto in maniera più o meno vicina quei fatti. Un libro che partendo dalle piante e dalla natura, prova a raccogliere riflessioni e impressioni, e a restituire immagini, sentimenti e stati d’animo.

Ne viene fuori una narrazione frammentata, non continua, che mostra sulla carta fotosensibile le esplosioni di luce delle piante raccolte nella zona di esclusione (quella chiusa all’accesso delle persone a causa delle radiazioni), ma anche talvolta la delicatezza della loro “fragilità e incertezza”. Una narrazione che a tratti attraverso le parole di Marder ci conduce, anche con toni poetici, nell’insicurezza e nella disillusione causata dal disastro di Chernobyl e del suo essere stato mal gestito con le persone che ne hanno, e ne stanno ancora, portando le conseguenze.

Passando in rassegna le paure, le ansie, e parallelamente le modalità per rapportarsi alle conseguenze per l’ambiente di una catastrofe del genere, la narrazione quasi fisicamente scorre su un terreno che non ha più vita, come paralizzato nel suo essere stato – un’immagine che Tondeur non ha potuto raccogliere nel suo insieme ma che Marder riesce a farci intuire parlandoci dell’oggi. L’invisibile (le radiazioni o il virus che è l’invisibile del momento che stiamo vivendo) ci si manifesta come paura e timore, ma anche, nel caso di Chernobyl, come un incendio che colpisce la zona di esclusione e la attraversa perché le radiazioni hanno devastato i microorganismi e i “decompositori” che abitavano il suolo. Gli incendi, dice Marder, hanno anche la conseguenza di gettare gli elementi radioattivi nell’atmosfera trasportandoli lontano dal sito in cui foglie, rami e tronchi d’albero secchi hanno preso fuoco. «Sto scrivendo queste righe la domenica di Pasqua – ci informa Marder – un giorno che conferisce una sfumatura speciale all’ascesa, al risorgere del corpo invisibile delle radiazioni, una resurrezione terribile, terrificante». Che siano incendi dolosi o no per Marder, «sono comunque una conseguenza dell’esplosione del 1986».

Quando parliamo di invisibilità la sentiamo visibile attraverso le nostre parole. Ne parliamo come se fosse una cosa monolitica. Ma le domande da porsi per Marder sono diverse: «esiste più di un’invisibilità? A chi appartiene l’invisibilità? Cosa rimane sottratto alla vista? ... Le ricadute radioattive e le pandemie sfuggono alla sfera della nostra esperienza quotidiana… Le risposte alla minaccia che rappresentano sono, quindi, polarizzate: chi ha un’immaginazione acuta o un pensiero astratto affinato può essere incline a un’ansia fluttuante permanente, a preoccupazioni eccessive e all’ipocondria; chi è abituato a fare affidamento solo sull’evidenza empirica dei suoi sensi può mostrare noncuranza o addirittura negligenza».

Concludiamo citando Anaïs Tondeur: «Quando ero bambina credevo che le guerre rendessero la terra sterile… All’estremo opposto la zona di esclusione di Chernobyl si sta rivelando un terreno dove la vegetazione non può morire. Congelata nel presente dell’incidente, la terra si è arrestata, sospesa come in un’immagine fotografica. Gli alberi non deperiscono. La forma delle piante resta immutata. Eppure il cesio-137 è all’opera. La mutazione avviene all’interno… Non sorprende che il popolo ucraino, esposto a elevati livelli di radiazione, l’abbia chiamato il nemico invisibile».

* Michael Marder, Chernobyl herbarium. La vita dopo il disastro nucleare. Milano, Mimesis, 2021, pp. 101, euro 16,00.

 

Foto: Cs szabo at Hungarian Wikipedia

 

 

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