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Hans Küng divulgatore della passione per l'Evangelo

Il teologo svizzero è morto ieri all'età di 93 anni

«Ciò che conta in definitiva è che l’essere umano – sano o malato, abile o inabile al lavoro, efficiente o inefficiente, accompagnato o abbandonato dal successo, colpevole o innocente – mantenga, con imperturbabile fermezza, durante tutta la sua esistenza e non solo alla fine, quella fiducia che con tutto il Nuovo Testamento noi chiamiamo fede. E se il suo Te Deum è per l’unico vero Dio, non per una delle molte false divinità, allora può riferire a se stesso, in qualunque situazione si trovi, le parole conclusive dell’inno, a cui attribuirà il significato di una promessa: “In te Domine speravi, non confundar in aeternum” [“in te, Signore, ho sperato, non sarò confuso in eterno”». Così, in una delle sue opere più importanti, Essere cristiani, Hans Küng riassume il messaggio della giustificazione per grazia soltanto: come pastore evangelico, ho citato mille volte questa formulazione di un teologo cattolico per indicare l’evangelo riscoperto dalla Riforma, poiché non è facile trovarne una altrettanto efficace.

In realtà, Küng, morto il 6 aprile a 93 anni, non era, rigorosamente parlando, un “teologo cattolico”. Era teologo, accademico di grande prestigio e divulgatore brillantissimo, autore di decine di libri di alto livello; ed era anche appassionatamente cattolico, legato alla sua chiesa, che criticava con enfasi ma che amava in modo viscerale. Secondo la sede romana, tuttavia, non poteva insegnare teologia a nome della Chiesa cattolica (in questo senso, dunque, non era “teologo cattolico”), in particolare perché aveva esplicitamente e pertinacemente respinto il dogma dell’infallibilità papale. Nel 1979, dunque, poco prima di Natale, gli era stata revocata l’autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento. L’Università di Tubinga aveva reagito scorporando l’Istituto per la ricerca ecumenica dalla Facoltà di Teologia, affidandolo a Küng perché continuasse a insegnare e ad attirare studentesse e studenti nella città del Württenberg.

E pensare che questo lucernese cattolicissimo si forma alla Gregoriana, risiedendo al Germanicum, il severo collegio diretto dai gesuiti, non lontano da piazza Barberini. Il dottorato, però, lo consegue a Parigi, con una tesi, appunto, sulla giustificazione, nella quale sostiene la compatibilità della dottrina del Concilio di Trento con quella evangelica, in particolare nella formulazione di Karl Barth. Un libro che nel 1957 appare un po’ strano (Barth afferma che Küng lo ha capito benissimo, ma aveva frainteso Trento; Joseph Ratzinger scrive che l’autore aveva rettamente restituito Trento, ma non aveva compreso Barth), ma che quarantadue anni dopo sarà sostanzialmente confermato dalla Dichiarazione congiunta cattolico-luterana.

È l’inizio di una folgorante carriera, che lo porta in cattedra a poco più di trent’anni, nella prestigiosa Facoltà cattolica di Tubinga. Negli anni del Concilio, Küng è tra i portavoce del rinnovamento, ma ben presto si mostra disilluso; il suo libro su La chiesa, del 1967, rappresenta una risposta critica alla Lumen Gentium. Ma la bomba vera e propria scoppia, come abbiamo detto, con il libro sull’infallibilità, del 1970, un pamphlet efficacissimo. A differenza della maggior parte dei suoi colleghi, Küng dice pane al pane e vino al vino, nella fattispecie che il dogma dell’infallibilità è privo di basi bibliche e tradizionali. Da allora diviene il bersaglio di una persecuzione da parte del magistero romano. Molti teologi, non solo cattolici, snobbano Küng come “divulgatore”. E così egli deve “accontentarsi” di un immenso successo, accompagnato da ottimi incassi e vasta popolarità, con tanto di copertina di Time.

È vero, però, che, a partire dagli anni Settanta del Novecento, Küng si rivolge ampiamente al grande pubblico: il già citato Essere cristiani segna per molti il primo contatto con l’esegesi critica; un decennio dopo giunge la teologia delle religioni. Contemporaneamente, Küng continua la sua battaglia per il rinnovamento della Chiesa cattolica. È molto amico dei suoi colleghi evangelici tubinghesi Jüngel e Moltmann, ma litiga con loro quando cercano di spiegargli che difficilmente il papa smetterà di essere papista; in Italia, è poco apprezzato da Vittorio Subilia, che lo considera un moyenneur, come avrebbe detto Calvino, cioè un uomo del compromesso. A me è sempre parso una superstar della cultura, un uomo assai competente e un credente convinto, che trasmette con passione per l’evangelo il compito di pensare la fede. È un po’ paradossale, ma proprio leggendo lui, che voleva a tutti i costi dirsi cattolico, sono diventato protestante e anche per questo gli sono sempre stato grato.

Küng non manca di autoconsapevolezza: scrive, a esempio, un’autobiografia in tre volumi (uno in italiano), per un totale di quasi duemila pagine e si lamenta spesso per non aver ricevuto riconoscimenti ecclesiastici. Su di lui circola la seguente barzelletta. Alla morte di Giovanni Paolo II, qualche cardinale “progressista” immagina di eleggere al soglio pontificio «quel famoso professore di Tubinga. Tanto per far vedere che la chiesa cattolica non è così conservatrice». Qualcuno telefona per sondare la disponibilità, ma ottiene una risposta negativa: «Vuole rimanere infallibile!».

Vale la pena, però, rileggere questo simpatico narcisista: non è obbligatorio pensarla come lui, basta lasciarsene stimolare.

 

Foto di UNED Universidad Nacional de Educación a Distancia

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