La pandemia non frena la deforestazione
06 aprile 2021
Secondo i dati del World Resources Institute nel 2020 si sono persi milioni di chilometri quadrati di foreste, con importanti ripercussioni sul clima mondiale
Fino a qualche mese fa si rincorrevano alcune voci che sostenevano che il periodo di pandemia avrebbe portato ad una riduzione, seppure magari di lieve entità, della deforestazione, in particolare per quanto riguarda le foreste tropicali. Secondo i dati pubblicati dal World Resources Institute, organizzazione di ricerca no profit statunitense, nel 2020 si è invece registrata un’impennata nelle perdite di foresta tropicale vergine. Rispetto al 2019, infatti, lo scorso anno la deforestazione sarebbe aumentata del 12%, con una perdita complessiva di 40 milioni di chilometri quadrati, all’incirca le dimensioni della Svizzera.
Tra gli impatti più immediati occorre ricordare quelli sulla biodiversità. Le foreste non sono ecosistemi composti esclusivamente da alberi, ma anzi ospitano circa l’80% delle specie di piante, funghi e animali terrestri. Perdere foresta significa perdere ricchezza e variabilità genetica. Inoltre, si registrano anche importanti ripercussioni a livello globale.
Bisogna infatti tenere conto del fatto che una delle principali vittime della deforestazione è la foresta tropicale di vecchia crescita, che svolge un ruolo fondamentale nell’assorbire il Carbonio atmosferico. Secondo i ricercatori, le sole perdite del 2020 significano la permanenza in atmosfera di due miliardi e mezzo di tonnellate di anidride carbonica, una quantità che corrisponde grossomodo alle emissioni totali degli Stati Uniti (il secondo Paese più inquinante al mondo) in due anni.
In questa fase storica le necessità sarebbero ben altre. Molti studi evidenziano come la tendenza per l’inquinamento e la deforestazione dovrebbe andare nella direzione completamente opposta per poter contenere la crescita delle temperature a livello globale al di sotto dei 2°C stando all’Accordo di Parigi del 2015. Stando ai dati forniti dalla ricerca, il modello che attualmente viene messo in atto non è sostenibile. Eppure, i territori interessati dalle maggiori attività di abbattimento di foresta vergine per fare spazio ad attività umane sono gli stessi da anni.
In testa alla classifica dei Paesi che attuano una più intensa deforestazione troviamo ancora una volta il Brasile: le politiche di sviluppo economico portate avanti dal presidente Jair Bolsonaro prevedono continui e diffusi abbattimenti per fare spazio ad esempio a monocolture e allevamento intensivo. Solo qualche mese fa, il Brasile aveva lanciato il suo primo satellite per il monitoraggio della situazione delle foreste, ma le politiche distruttive sono proseguite. Altri centri importanti per la perdita di foreste vergini sono il Camerun e la Colombia. In quest’ultima il trend ritorna in salita dopo un lieve ma promettente calo nel 2019.
Il report registra anche dei notevoli miglioramenti per quanto riguarda altre regioni del mondo, ma è la tendenza complessiva a far preoccupare. La pandemia non ha quindi rallentato la tendenza: in alcuni Paesi economicamente più instabili molte persone che hanno perso il lavoro in città si sono spostate nelle campagne, e abbattere le foreste è uno dei modi più semplici per creare spazi per i nuovi arrivati.