L’era delle chiese ibride
15 marzo 2021
Che cosa è cambiato nell’atteggiamento delle chiese protestanti storiche rispetto al mondo del web? Una riflessione del teologo svizzero Michel Kocher
Poco meno di tre anni fa, dall’11 al 13 aprile 2018, la Conferenza delle chiese protestanti dei paesi latini d’Europa (Cepple) organizzava a Madrid un incontro fra gli operatori della comunicazione delle rispettive chiese (ne avevamo scritto qui; incontri analoghi si sono svolti anche a Losanna, Torre Pellice, Lisbona e Parigi) sul tema “Qual è la presenza delle nostre chiese nel mondo digitale?”.
Nell’occasione, il teologo e giornalista svizzero Michel Kocher aveva proposto di lavorare a partire da alcuni temi chiave: in che modo le chiese possono/devono impegnarsi nel web? Qual è il loro obiettivo primario? Quale profilo devono tenere (le chiese ma anche i singoli pastori) sui social? Come tradurre il Vangelo nel linguaggio del web?
Per affrontare questi temi era stata presentata una app, accessibile anche come sito Internet, chiamata “ContactGPS”, frutto di un lavoro ventennale dello stesso Kocher, che similmente a un gps permette attraverso una serie di domande di “localizzarsi” su vari temi riguardanti la fede, il rapporto fra religioni e società, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, l’etica, le forme di spiritualità. Nel caso specifico, si trattava di posizionare la presenza delle chiese sul web, su quattro modelli, da quello in cui la presenza fisica è preponderante, a quello delle cosiddette “chiese virtuali”. Tradotto in sei lingue (francese, spagnolo, italiano, portoghese, inglese e tedesco), il questionario è tuttora disponibile online.
L’analisi dei risultati (che si può trovare nel documento in francese qui), spiega lo stesso Kocher in un recente articolo su Réformés, «mostrava che i protestanti storici consideravano il mondo digitale un’opportunità per farsi conoscere meglio. Sentivano di avere dei punti di forza da far valere, ma non ritenevano prioritario immergersi in quella cultura, né vi riconoscevano un potenziale di trasmissione personale della fede. Più che un luogo di testimonianza, ai loro occhi era una vetrina per le loro comunità. Solo il 20% di loro si aspettava nuove forme di chiesa».
E poi è arrivato il Sars-Cov-2, che ha cambiato radicalmente le cose, anche le posizioni delle chiese: i numerosi esperimenti tentati, anche se non tutti hanno avuto successo, le hanno fatte “muovere”, spiega ancora Kocher: «Quello che senza dubbio è cambiato irrimediabilmente è l’esperienza positiva dei collegamenti virtuali. Non è più possibile pensare la comunità senza integrare delle forme di partecipazione diverse da quelle in presenza».
Le esperienze le abbiamo tutti sotto gli occhi: culti e studi biblici su Zoom o su Facebook, incontri di catechismo e scuola domenicale su varie piattaforme, gruppi Whatsapp per ogni attività della chiesa, riunioni in video collegamento dal livello locale (consigli di chiesa) a quello nazionale (Tavola, incontri di commissioni…) passando per Circuiti e Distretti.
Ma la differenza tra questi incontri e quelli che si tenevano “in presenza”, dal vivo, non è soltanto quantitativa, è anche qualitativa. «Se nella vita ecclesiastica la logica binaria presente/assente è definitivamente accantonata – osserva ancora il teologo – non è tutto uguale in termini di esperienza comunitaria virtuale. Non ha tutto lo stesso significato o la stessa densità ecclesiastica e relazionale». Egli cita un recente articolo pubblicato sulla rivista “Foi et vie” in cui il teologo franco-inglese Antonin Ficatier parla di “chiesa ibrida”, e quindi (commenta Kocher) constata che «l’unico atteggiamento possibile per le chiese è quello di abbracciare le tecnologie digitali». Ficatier propone un’analisi e una mappatura della presenza delle chiese sul web (da lui intitolata “Presentia”) che riprende fortemente quella proposta da ContactGPS, e «aiuta a sottolineare la virtualità specifica della chiesa ibrida».
Il modello elaborato da Ficatier si struttura su quattro situazioni simboleggiate da altrettante immagini bibliche: “Emmaus”, “l’autostrada di Gaza”, il “Cenacolo”, “Agorà”, che esprimono diversi livelli di consapevolezza e di “connessione” in rapporto alla rete digitale.
Si va da “una presenza/assenza” come quella sperimentata dai discepoli in cammino verso Emmaus, all’impossibilità del lettore del testo biblico di comprenderlo senza la giusta chiave di lettura (il riferimento alla conversione del ministro etiope in Atti 8, 26-40), come il navigatore nelle “autostrade” dell’informazione e dei social network. E ancora, la “connessione” che si crea fra i discepoli con la capacità di parlare altre lingue, ad altri; e infine, la “piazza”, luogo pubblico di dibattito ed evangelizzazione, con i suoi punti di forza e di debolezza.
“Presentia” è stato adattato in una nuova versione del ContactGps che si può trovare qui, ed è stata presentata da Michel Kocher il 4 marzo in un seminario online della Cevaa (Comunità di chiese in missione) sul tema “La missione della chiesa e della teologia nello spazio pubblico nell’epoca delle pandemie”.