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Le armi nucleari sono illegali

Venerdì 22 gennaio è entrato in vigore il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (Tpnw) che vieta qualunque attività legata alle armi più devastanti al mondo

Da questa mattina le armi nucleari sono vietate a livello globale. Venerdì 22 gennaio, infatti, entra in vigore per i 51 Stati che lo hanno già ratificato il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (Tpnw), la prima normativa internazionale che mette fuorilegge le armi capaci di cancellare l’umanità in tutto il mondo.

Il Trattato Tpnw, adottato dalle Nazioni Unite nel 2017, entra quindi in vigore oggi, 90 giorni dopo il raggiungimento della cinquantesima ratifica. Si tratta del primo accordo legalmente vincolante che vieta agli Stati di sviluppare, testare, produrre, fabbricare, trasferire, possedere, immagazzinare, usare o minacciare di usare armi nucleari, o anche permettere che armi nucleari siano posizionate sul proprio territorio. La sua approvazione nel 2017 portò al Premio Nobel per la pace per ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons – Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari), sottolineando quanto la minaccia nucleare, che oggi sembra remota, in realtà sia sempre dietro l’angolo.

A gennaio del 2020 il Bulletin of the Atomic Scientists, un’organizzazione fondata da Albert Einstein e Robert Oppenheimer nel 1947, ha dichiarato che siamo più vicini che mai a quella che chiamano “l’apocalisse”. Per descrivere quanto siamo vicini, da oltre 70 utilizzano un simbolico orologio da muro, il “Doomsday Clock”, avvicinando o allontanando le lancette dalla mezzanotte in base a quanto il rischio sia in crescita o in diminuzione. Quest’anno, queste lancette sono arrivate a 100 secondi dalla mezzanotte. In precedenza, il momento di maggior vicinanza era stato 120 secondi nei momenti più duri della Guerra Fredda e del riarmo nucleare da parte di Stati Uniti e Unione Sovietica all'inizio degli anni Ottanta.

Per alcuni aspetti e secondo alcuni critici, il trattato che entra oggi in vigore ha un valore soprattutto simbolico, perché nessuna potenza nucleare lo ha finora sottoscritto. Russia e Cina, infatti, si erano astenute nel 2017. Pechino, in particolare, aveva scelto di non votare contro per non inimicarsi diversi Paesi del “sud globale”, favorevoli all’iniziativa di legge. A queste due astensioni fecero da contorno i voti contrari dell’India, del Pakistan, della Corea del Nord, ma soprattutto degli Stati Uniti e di tutti i Paesi della Nato, compresa l’Italia. Alla base del rifiuto, secondo l’allora governo Gentiloni, un trattato troppo «divisivo» che «rischia di compromettere i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare».

Eppure, il tema del disarmo nucleare sembra essere più unificante di qualsiasi altro secondo l’opinione pubblica italiana. Nel novembre 2020, nel momento dell’approvazione del trattato da parte del cinquantesimo Paese, un sondaggio di YouGov sottolineava come l’87% degli italiani fosse favorevole all’adesione dell’Italia al Tpnw, ma questo non è bastato a far ripartire la discussione politica.

Oggi in Europa sono soltanto cinque i Paesi che hanno ratificato il trattato: Austria, Irlanda, Santa Sede, Malta e San Marino. A pesare è sopratutto la posizione della Nato. Jens Stoltenberg, il segretario generale, aveva dichiarato a novembre che il trattato ignora la realtà della sicurezza globale, perché «rinunciare al nostro deterrente senza alcuna garanzia che altri facciano lo stesso è un'opzione pericolosa», aggiungendo poi che «un mondo in cui Russia, Cina, Corea del Nord e altri hanno armi nucleari, ma la Nato no, non è un mondo più sicuro».

L’Italia ospita ancora oggi sul proprio territorio 40 bombe nucleari che appartengono all’esercito degli Stati Uniti, stoccate nelle basi militari di Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia), nel nord-est. Proprio a causa di questa presenza così ingombrante, che impone costi e rischi importanti per il nostro Paese, come documentato da Greenpeace a fine 2020, i governi italiani che si sono succeduti negli ultimi anni hanno considerato il Tpnw come troppo radicale. Eppure, l’attuale situazione è in violazione anche di un altro trattato internazionale, Il Tnp (Trattato di non proliferazione) del 1970, ratificato anche dall’Italia, che proibisce ai Paesi “non nucleari” di procurarsi armi atomiche e agli Stati nucleari di trasferirle.

Negli ultimi anni, il tema del controllo globale degli armamenti nucleari ha subito diverse battute d’arresto, con la scadenza del trattato sulle armi nucleari a medio raggio (INF) del 1987, mai rinnovato da Russia e Stati Uniti. Anche il nuovo trattato di riduzione delle armi strategiche tra Stati Uniti e Russia, che limita ogni paese a non più di 1.550 testate nucleari e 700 missili e bombardieri dispiegati, scadrà il 5 febbraio, sebbene la Nato chieda a entrambe le parti di estenderlo. In questo contesto, una moratoria globale diventa sempre più necessaria, e allo stesso tempo il suo valore simbolico assume anche una dimensione molto concreta.

Un trattato come il Tpnw, infatti, non è soltanto una legge: da un lato c'è l'aspetto normativo, ma dall'altra, come in altri trattati come quello per la proibizione delle mine antipersona, c’è l'effetto stigma, l'effetto di puntare il dito su chi questi trattati non li vuole osservare, li vuole violare o ignorare. A questo proposito, Lisa Clark, co-presidente dell'international Peace Bureau, organizzazione internazionale premiata con il nobel per la pace nel 1910 e rappresentante italiana di ICAN, spiegava a novembre 2020 che «lo stigma ha i suoi effetti positivi anche sulle decisioni militari». «Uno dei pochi Paesi che non ha mai firmato e ratificato la convenzione per la messa al bando delle mine antipersona sono gli Stati Uniti. Eppure, da quando è entrata in vigore quella convenzione, gli Stati Uniti non hanno più messo una mina antipersona da nessuna parte. Quindi significa che il non voler essere svergognati dalla propria popolazione un effetto ce l’ha. Si pensi che Eisenhower, presidente degli Stati Uniti negli anni Cinquanta, durante la parte finale della guerra di Corea, scrive nelle sue memorie che decise di non usare l’arma nucleare per finire velocemente rapidamente la guerra in Corea perché era ormai un tabù a livello globale e lui non poteva andare contro un tabù che tutte le popolazioni ormai avevano incorporato».

 

Proprio per ribadire la necessità di mettere al bando le armi nucleari, le campagne italiane, Senzatomica e Rete Italiana Pace e Disarmo, hanno rilanciato per questi giorni la mobilitazione nazionale «Italia, ripensaci», con una serie di iniziative online per chiedere al Governo di chiarire la propria posizione, anche alla luce del fatto che nel 2017, mentre l’Italia rifiutava di aderire al Trattato, oltre 240 parlamentari, in maggior parte del Pd e del Movimento 5 Stelle oggi in maggioranza, con in prima fila l’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio, si impegnavano a promuoverne l’adesione nelle sedi politiche. Da allora, nessuna discussione è più stata avviata.

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