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In Iraq il Natale diventa giorno festivo

Il patriarca Sako: «decisione per il bene dei cittadini cristiani». Ma il gesto appare più che altro simbolico, in una nazione in cui i cristiani subiscono pesanti discriminazioni e persecuzioni

La decisione è arrivata il 16 dicembre dopo un incontro tra il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca della Chiesa cattolica caldea, e il presidente iracheno Barham Salih. Per la prima volta il Natale diventerà un giorno festivo in Iraq; nel mondo arabo accade solo in Siria e Libano.

Il provvedimento, approvato dal parlamento all'unanimità, è stato senza dubbio accelerato dalla visita di papa Francesco, prevista per il 5-8 marzo del prossimo anno. Un gesto importante in un paese in cui tuttavia la minoranza cristiana - che è passata da 1,5 milioni di persone nel 2003 a meno di 120.000 oggi - rimane perseguitata.

Lo storico Bernard Heyberger, specialista in cristianesimo orientale dalle colonne del settimanale francese Réforme, vede in questo annuncio poco più che «un'operazione di comunicazione. È una concessione alla comunità internazionale, da non confondere con un gesto di tolleranza e apertura», prosegue. Nessun miglioramento in vista, quindi, nella difficile situazione dei cristiani in Iraq, al 15°posto nella classifica sulla persecuzione dei cristiani nel mondo.

«Tutte le confessioni cristiane sono fortemente colpite dalla persecuzione condotta dagli estremisti e dalle autorità. I cristiani sono discriminati e in genere non portano più simboli cristiani per paura di finire nei guai ai posti di blocco, all'università, sul posto di lavoro o negli edifici pubblici», spiega l'Ong Open Doors sul suo sito web. «Le relazioni intercomunitarie sono pessime tra sunniti, sciiti, curdi e turkmeni. Tuttavia, i cristiani si trovano in una posizione di debolezza all'interno di questo sistema perché non hanno milizie armate e sono in inferiorità numerica», osserva ancora, da parte sua, Bernard Heyberger.

«È l'ultima delle preoccupazioni di questo governo compiacere i cristiani orientali», conferma Victoria Fontan, autrice del libro “Voices from Post-Saddam Iraq”. D'altra parte, questa studiosa della regione rileva «il desiderio di riportare i cristiani iracheni nella pianura di Ninive, situata tra il Kurdistan iracheno e Mosul. Perché queste popolazioni sono usate come cuscinetto tra i curdi nel nord e gli arabi sunniti nel sud», spiega. Questa strumentalizzazione, come la concessione sul giorno di Natale, non impedirà quindi ai cristiani «di continuare a essere discriminati e di temere per la loro incolumità».

Dall'invasione del 2003 (guidata dagli Stati Uniti e che ha portato alla caduta del dittatore Saddam Hussein), questa minoranza è stata stretta in una morsa, presa di mira dalle milizie sciite e dai gruppi terroristici sunniti», sottolinea Victoria Fontan. Lo storico Bernard Heyberger riconosce «l'importanza dei gesti simobolici» ma ricorda che oltre alle feste e ai servizi religiosi, i cristiani si aspettano che venga loro concesso un posto nelle scuole, nelle cariche amministrative e diritti reali. «Queste sono domande più urgenti della festa di Natale».

 

Foto di: Aziz1005, la cattedrale di Baghdad

 

 

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