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I padri pellegrini e il loro impatto sulla (futura) storia americana

Nel libro di Massimo Rubboli un'interpretazione che tiene conto dei pregiudizi ai danni dei popoli nativi

Lo storico Massimo Rubboli pubblica per Unicopli un saggio dal titolo Alle origini della storia americana. I Padri pellegrini tra storia e mito*. L’autore ripercorre la vicenda dei Padri pellegrini chiedendosi come e perché la storia di questo piccolo gruppo abbia assunto un grande valore simbolico rientrando tra i grandi eventi della storia americana.

Nel primo capitolo l’autore ripercorre le vicende della Chiesa d’Inghilterra, dalla sua separazione da Roma per giungere poi al regno di Elisabetta I (1558-1603) e alla nascita del movimento dei puritani, che chiedevano una purificazione delle strutture e della liturgia della chiesa da orientare verso una teologia riformata. Le riforme non ci furono. Una parte dei puritani ritenne che la chiesa d’Inghilterra «non fosse riformabile e che fosse necessario separarsi da quella che ormai consideravano un’altra espressione della prostituzione di Babilonia» (p. 299). Costoro, chiamati separatisti (puritani radicali), furono spesso perseguitati e imprigionati. Con l’avvento del regno di Giacomo I (1603- 25) la loro condizione peggiorò al punto che molti pensarono di emigrare altrove per poter praticare liberamente la loro fede. La comunità di Scrooby, nel Nottinghamshire, decise di emigrare in Olanda, dove era garantita una certa libertà religiosa. Con i loro pastori (John Robinson e Richard Clyfton) raggiunsero Amsterdam per poi stabilirsi nella città di Leida. «Una parte di loro, anni dopo, decise di trasferirsi nel Nuovo mondo e saranno ricordati col nome di Padri pellegrini» (p. 29). Animati da una grande speranza e da fervore interiore, «essi volevano porre un buon fondamento per la diffusione e l’avanzamento del vangelo di Cristo in queste parti remote del mondo» (pp. 31-32).

La “Mayflower” salpò dal porto Plymouth il 6 settembre 1620 con 102 passeggeri, di cui solo la metà erano separatisti. Il 6 novembre, la nave raggiunge la penisola di Cape Cod e prima di scendervi, «per iniziativa dei “santi” fu sottoscritto dalla maggioranza degli uomini adulti un documento, che più tardi diventerà famoso come il Mayflower Compact» (p. 34), un patto civile che regolasse la reciproca convivenza, e che venne poi considerato la prima pietra della democrazia americana. La nuova colonia ebbe il nome di New Plymouth. Dopo dieci anni dallo sbarco, la piccola colonia di Plymouth era sopravvissuta alle tante avversità, «ma aveva raggiunto soltanto 300 abitanti, quando arrivò dall’Inghilterra la grande ondata migratoria dei puritani» (p. 43). La colonia di Plymouth resterà sempre «una piccola realtà e, nel 1691, fu annessa a quella della Baia del Massachusetts, ma la sua storia fu trasformata lentamente nel mito delle origini della nazione americana» (p. 63).

Secondo Rubboli nel corso degli anni «si mise in atto un processo di mitizzazione che prima decontestualizzò il fatto storico privandolo del suo significato originale, e poi lo si reinterpretò conferendogli un nuovo significato. Questo processo fece parte di una più ampia opera di mitologizzazione, che formò una mitologia nazionale riguardante le origini cristiane degli Stati Uniti. Secondo questa metanarrazione, (...) le colonie inglesi in America del Nord sarebbero state fondate in gran parte da persone in cerca di libertà religiosa, il governo degli Stati Uniti sarebbe stato fondato su principi religiosi, i Padri fondatori avrebbero voluto creare una “nazione cristiana” e l’America sarebbe una nazione eletta guidata dalla divina provvidenza. Questa narrazione mitologica – che comprende lo sbarco dei Pellegrini, il Patto della Mayflower, la roccia di Plymouth e il giorno del Ringraziamento – serve anche da tessuto connettivo per la cosiddetta “religione civile”, quell’insieme di credenze, miti, rituali e simboli che costituisce il fondamento della cultura commemorativa degli Stati Uniti» (pp. 63-64).

«Se la “memoria storica” – si chiede Rubboli – è frutto di una costruzione, può anche essere decostruita attraverso una rilettura del passato che evidenzi le omissioni e le distorsioni di quella costruzione» (p. 87). Ed è ciò che hanno voluto fare i nativi americani a partire dal 1970. A Frank James (Wamsutta, nella lingua Wampanoag) della tribù Mashpee e presidente della Federated Eastern Indian League, invitato a partecipare alle celebrazioni che si sarebbero svolte a Plymouth in occasione del 350° anniversario dello sbarco dei Pellegrini, fu impedito di parlare (James inviò agli organizzatori una copia del suo intervento, che fu giudicato inopportuno perché criticava i preconcetti sui nativi americani e le loro condizioni di vita). Gli indiani residenti dell’area protestarono. Il discorso che avrebbe dovuto pronunciare fu cambiato e pronunciato in un luogo simbolico, di fronte alla statua del capo indiano Ousamequin (Massasoit), sulla collina sovrastante Plymouth Rock. Nel suo discorso, James «parlò degli indiani che erano stati ridotti in schiavitù agli inizi della colonizzazione e delle promesse non mantenute riguardanti il possesso delle loro terre. […] Riconquistare in questo paese la posizione che ci spetta di diritto» (p. 88). Da questo evento ebbe inizio la celebrazione annuale del National Day of Mourning (Giorno nazionale di lutto, a ricordo delle ingiustizia subite dagli indiani d’America). Un saggio quello di Rubboli da acquistare e da leggere.

* M. Rubboli, Alle origini della storia americana. I Padri pellegrini tra storia e mito (1620-2020). Milano, Unicopli, 2020, pp. 90, euro 12,00.

 

Dipinto di Charles Lucy, lo sbarco dei Padri Pellegrini, 1848

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