Coronavirus e povertà in Europa
17 novembre 2020
Per sconfiggere la povertà causata dalla pandemia c'è chi propone di introdurre un reddito minimo adeguato. Intervista a Heather Roy, segretaria di Eurodiaconia
Tra gli effetti della pandemia da Covid-19 c’è l’aumento delle diseguaglianze sociali e della povertà. Per evitare il peggio va introdotto quanto prima un “reddito minimo adeguato”: ne è convinta la scozzese Heather Roy, segretaria generale di Eurodiaconia, l’organizzazione cappello che raggruppa oltre 50 organizzazioni e associazioni diaconali espressione delle chiese protestanti nel vecchio continente, con sede a Bruxelles, impegnata sul fronte della giustizia sociale.
Dall’Islanda all’Armenia, dalla Norvegia all’Italia, passando dalla Svizzera, con i suoi 52 membri tra chiese e organizzazioni cristiane, Eurodiaconia travalica di molto i confini dell’Unione europea (UE). In queste settimane, insieme alla più ampia “Piattaforma sociale” di cui è membro, ha elaborato un testo quadro per una direttiva UE (legalmente vincolante), indirizzata all’introduzione di un “reddito minimo adeguato”; un’interessante proposta anche per i paesi che non fanno parte della UE, come la Svizzera. Scopo del provvedimento è quello di permettere la creazione di una rete di sicurezza sociale di base tesa a ridurre le sacche di povertà e l’esclusione sociale.
Heather Roy, come valuta l’attuale situazione socio-economica dell’Europa?
Crediamo che nei prossimi anni vedremo livelli assai alti di disoccupazione in Europa. Il settore pubblico e privato si troverà ad affrontare l’onda lunga dell’impatto della pandemia. Molte persone scivoleranno dalla disoccupazione temporanea verso una disoccupazione permanente. Più disoccupazione significa meno persone attive nella società. In molti paesi dobbiamo aspettarci importanti recessioni economiche, con una disoccupazione strutturale e maggiori difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro: questo significa che molte più persone vivranno in povertà.
Voi proponete il “reddito minimo adeguato”. In cosa si differenzia dal salario minimo garantito, o dal reddito minimo universale?
Se per vivere sei costretto a fare affidamento su dei sussidi statali, come per esempio l’assegno di disoccupazione o di disabilità, la pensione, o qualsiasi altra assistenza sociale, riteniamo che l’ammontare di questi sussidi dovrebbero garantire una vita dignitosa. Avere a disposizione sufficienti mezzi, non per sopravvivere, ma per vivere, è quel che abbiamo chiamato reddito minimo adeguato. Il reddito minimo adeguato si differenzia dal concetto del reddito universale di base nella misura in cui è mirato a sanare delle situazioni specifiche. Non è indirizzato a tutti e tutte, ma solo a quelle persone che non hanno abbastanza soldi per fare una vita degna di essere vissuta.
Il reddito minimo adeguato è l’altra faccia della medaglia del salario minimo garantito. Il discorso non è diverso per i lavoratori e le lavoratrici. Per vivere dignitosamente, a quanto deve ammontare uno stipendio? Qual è il minimo insindacabile? Questo discorso va fatto sia che si lavori, sia che si sia disoccupati o comunque impediti dal lavorare. Il concetto è: come vogliamo bilanciare le politiche economiche con quelle sociali? Questo è l’elemento cruciale.
Lei parla di una vita degna. Come intendere in questo contesto il concetto di “dignità”?
Quali sono le cose di cui tutti abbiamo bisogno? Cibo, riscaldamento, un tetto sopra la testa, ma anche la possibilità di comprare dei vestiti quando si sono sciupati quelli che abbiamo, poter partecipare alla società, significa poter uscire qualche volta, e perché no, ogni due mesi, per esempio, andare al cinema. E guardi, che non parliamo di ricchezza! Non è questo che chiediamo. Crediamo che come cristiani dobbiamo fare in modo che tutti abbiano ciò di cui necessitano per vivere con dignità. È una dignità dataci da Dio, e Gesù Cristo ci ha affidato un comandamento: ama Dio e ama il prossimo tuo. Poi, speriamo - con l’aiuto dello Spirito Santo - di trovare le forze per portare avanti queste istanze dentro le istituzioni europee. Le chiese, in questo senso, hanno anche una voce profetica: se da una parte sono presenti sul territorio dando sollievo là dove l’ingiustizia sociale colpisce, dall’altra le chiese sono chiamate a combattere le strutture che esattamente generano quelle ingiustizie. È con questo spirito che partecipiamo come Eurodiaconia ai dibattiti dell’Unione europea, ma anche in altri consessi.
Che relazioni avete con le istituzioni europee?
Siamo in costante dialogo con i decisori, li incontriamo regolarmente, senza mai nascondere il fatto che siamo un’organizzazione cristiana. E questo, in fondo, ci apre molte porte, perché siamo considerati onesti, non abbiamo particolari scopi politici, non dobbiamo vincere le elezioni, né vendere un prodotto a chicchessia. Noi portiamo nella discussione le esperienze che ci arrivano dai nostri membri nei vari territori e che a livello europeo sono molto apprezzate. Anzi, spesso veniamo proprio interpellati in merito a determinate tematiche, e questo ci permette di riferire cose che forse i decisori politici europei preferirebbero invece non sentire.
Come finanziare una integrazione al reddito come quella da voi proposta? Dove trovare le risorse per combattere in questo modo la povertà?
Il reddito minimo adeguato potrebbe essere una vera soluzione, ma è anche vero che vanno trovati i fondi. E qui si tratta di scelte che devono fare i governi. Dal mondo delle chiese, anche qui, esistono diverse proposte. Per esempio il Consiglio ecumenico delle chiese, insieme ad altri organismi di chiese internazionali, promuove l’introduzione di un’imposta progressiva sul patrimonio, di una tassa per le transazioni finanziarie, di una “carbon tax”, di imposte sulle plusvalenze e tasse sull’eredità. Va detto che finché non mettiamo in discussione la ricchezza, non sarà possibile affrontare la povertà. Senza dubbio la povertà è un grosso problema nelle nostre società, ma a ben guardare, il vero flagello sono le diseguaglianze. Parlo dell’iniqua distribuzione delle nostre risorse, siano esse materiali, finanziarie, o addirittura sul piano dell’accesso a strutture democratiche. Le diseguaglianze hanno tante facce: basti pensare a quelle che derivano dalle identità stesse delle persone, come il colore della pelle. Detto questo: il problema della giustizia fiscale senz’altro si pone, e il dibattito intorno a questo tema s’impone in molti paesi, inclusa la Svizzera.
Cosa ne è dei bambini? Non rischiano di essere risucchiati insieme ai loro genitori nel vortice della povertà post-Covid?
La povertà purtroppo spesso è intergenerazionale. È molto difficile rompere il circolo vizioso della povertà, soprattutto se va avanti da due generazioni. Queste dinamiche sono note. Da tempo ci occupiamo di come interromperle, soprattutto in riferimento alla povertà minorile. La povertà non deve essere ereditata. Per quanto riguarda il reddito minimo adeguato, l’attenzione dovrebbe essere rivolta soprattutto alle situazioni più vulnerabili, come le famiglie monoparentali. Lo scopo è sempre quello: permettere loro di fare una vita dignitosa.
Ma quando ci sono di mezzo dei bambini, quel che osserviamo, è che questo non è sufficiente. Le necessità vanno oltre il mero sussidio. Parlo in particolare dell’accesso ai servizi, come per esempio un’adeguata assistenza all’infanzia, ma anche di servizi specifici per famiglie a rischio. Penso a chi non è in grado di gestire situazioni di crisi, siano esse legate all’indebitamento famigliare, o ad una incapacità genitoriale, e molte chiese sono in prima linea in questo settore. Insomma, per combattere la povertà minorile, non basta solo l’aiuto economico. E adesso con il Covid, siamo davvero molto preoccupati, perché molti bambini sono vittime loro malgrado di nuove diseguaglianze.
Può fare qualche esempio?
Stiamo assistendo a quella che abbiamo chiamato “povertà digitale”. In alcune scuole, con la didattica a distanza, sono stati distribuiti degli iPad, o dei portatili. Ma non in tutte. Chi paga la connessione Wi-Fi? Ci sono docenti che chiedono di scannerizzare dei documenti. Ma se non hai lo scanner, come fai? Chi ha pensato ad istruire i genitori che non hanno le competenze digitali per seguire i loro figli? Come fanno a seguirli se sono anche in telelavoro? Vede, sembra una cosa trascurabile, eppure, siccome durerà ancora per un bel po’, rischia di danneggiare la formazione dei bambini, e con questo le loro competenze per affrontare il futuro, e quindi le loro prospettive lavorative, e in ultima analisi la loro capacità di riscatto sociale.
Se la vogliamo dire proprio tutta: la povertà è peccato, e lo è perché l’avidità è peccato, perché l’invidia è peccato, e molta povertà è causata da disuguaglianze strutturali dovute alla distribuzione di potere nella nostra società. Per alcuni può suonare molto radicale come posizione, e c’è chi dice che sono discorsi di sinistra, ma no: semplicemente siamo cristiani.
Tratto da Voceevangelica.ch