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Lesbo, sgomberato il campo di Pikpa per soggetti vulnerabili

Proteste internazionali per l'irrazionale chiusura di un esempio di accoglienza virtuosa a fronte di tanti esempi negativi, come il vicino campo di Moria

Il campo di Pikpa era un fiore nel deserto dell’accoglienza europea. L’esempio concreto che è possibile concepire una modalità diversa di gestione dell’arrivo di tante donne, uomini, bambini in fuga dagli orrori delle guerre o per fame. Appena fuori l’abitato di Mytilene, sull’isola di Lesbo, non ha goduto della pubblicità riservata al vicino inferno di Moria, 15 mila persone ammassate in un girone dantesco di lamiera, fango e stracci.

Pikpa è stato sgomberato dalle forze dell’ordine venerdì scorso 30 ottobre. I residenti sono stati svegliati nelle loro casette di legno dalla polizia. Nessun ordine scritto è stato mostrato, nonostante le ripetute richieste degli avvocati. La motivazione ufficiale è quella della volontà del Comune di riappropriarsi di spazi occupati illegalmente; le voci parlano in realtà di forti pressioni da parte della popolazione locale, sempre più esasperata dal vedere la propria splendida isola finire sui giornali solo per la cronaca legata agli sbarchi e per l’incapacità europea di farsi carico di chi bussa alle sue porte. 

Volontari e giornalisti sono stati tenuti lontani dai fatti in corso. Nessun occhio a vedere e raccontare. Il governo presenta Pikpa come un campo illegale, mentre dal 2015 il Ministero del lavoro greco, proprietario dei locali, ne aveva autorizzato l’uso e vi ha nel tempo indirizzato varie persone, in collaborazione con il Ministero della Migrazione e l’Unhcr. Una virata secca del governo di centro destra che guida la Grecia dal 2019 rispetto al precedente esecutivo.

L’esempio di Pikpa non deriva dai numeri, risicati, 74 persone ospitate al momento, (ma è arrivato a gestirne comunque anche fino a 600, e in totale ne ha accolte molte migliaia), ma deriva invece da vari altri fattori: un progetto nato dal basso, dall’iniziativa di privati cittadini che nel 2012 in piena crisi economica greca hanno comunque voluto pensare al prossimo. Prende corpo così il “Villaggi” in strutture abbandonate appartenenti alla comunità cittadina. Nasce dal basso ma ha grande capacità di fare rete: in questi anni aiutano il campo di Pikpa i presbiteriani statunitensi, la diaconia di alcune chiese evangeliche tedesche, l’Otto per mille delle Chiese valdesi e metodiste in Italia e la municipalità di Barcellona solo per citarne alcuni. Tutti partner che colgono le potenzialità del progetto che si sta coltivando: un luogo di accoglienza per persone vulnerabili, donne incinte, malati cronici, omosessuali, transessuali, famiglie con soggetti fragili. Corsi di lingue, laboratori per adulti e bambini, un approccio amichevole e centrato sulla persona, contraltare ai grandi campi in cui ammassare uomini come bestie.

Quando sono entrato a Pikpa nell’estate del 2016 gli spazi erano decisamente affollati, ma tutto pareva funzionare con la calma della serenità. Presidio sanitario, supporto psicologico e legale, attività per bambini, molta voglia di raccontare le proprie vicende personali e la bontà di chi si stava prendendo cura di loro.

Nell’ottobre di quello stesso anno Lesvos Solidarity, la Ong formata da volontari greci e provenienti da varie altre nazioni e che gestisce Pikpa, riceve il premio “Nansen per i rifugiati” conferito ogni anno dal 1954 dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati per «gli instancabili sforzi volontari nell'aiutare i rifugiati in arrivo in Grecia durante la grande crisi migratoria del 2015-2016» (lo stesso premio verrà vinto nel 2019 dai Corridoi umanitari promossi dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, dalla Tavola valdese da Sant’Egidio).

Gli ospiti di Pikpa sono stati momentaneamente spostati in un altro piccolo campo presente sull’isola, Kara tepe, gestito dalla municipalità, anch’esso prossimo alla chiusura. E poi tutti finiranno nel nuovo mega campo di tende, fra fango e freddo, messo in piedi in fretta e furia dopo l’incendio che l’8 settembre ha distrutto Moria. Un pasto e una bottiglia d’acqua al giorno, cisterne che portano un po' d’acqua per lavarsi, ma che non basta assolutamente per tutti. Tende esposte al vento, letteralmente ammassate sulla spiaggia, questo attende chi arriva oggi in Europa.

Molti degli ospiti di Pikpa avevano già subito aggressioni proprio a Moria. Proteste si sono levate sull’isola e in tutto il mondo per la chiusura. Sono già oltre 160 le organizzazioni greche e internazionali che chiedono con urgenza alla Grecia di revocare tale decisione.

«Si tratta di una massiccia operazione di polizia senza preavviso – racconta Efi Latsoudi, legale rappresentante della Ong- . E’ inaccettabile e assurdo che un posto simile sia costretto a chiudere, mentre il governo greco e quello europeo stanno sostenendo e promuovendo il nuovo campo disumano e degradante». 

Lesvos Solidarity aveva chiesto sin dal primo annuncio della chiusura di Pikpa alcune settimane fa il trasferimento di rifugiati vulnerabili in condizioni sicure e umane, affinché le persone venissero  trattate come tali. 

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