Covid-19. Seoul chiude le chiese
19 agosto 2020
Le autorità hanno imposto la chiusura dei luoghi di culto nella capitale per contenere una possibile nuova ondata di contagi
Ieri 18 agosto le autorità coreane hanno imposto la chiusura dei luoghi di culto, incluse le chiese, nell’area metropolitana della capitale per contenere una possibile nuova ondata di contagi da Covid-19. I casi di infezione infatti sono in crescita soprattutto a Seoul.
La Corea del Sud è considerata uno dei Paesi che ha gestito meglio la pandemia, ma negli ultimi giorni i casi di infezione sono tornati a crescere. Il Centro nazionale di controllo delle malattie infettive ha registrato oggi 297 nuovi malati di Coronavirus, portando il totale a 16.058.
Con 568 infezioni, il più grande centro di diffusione del Covid-19 – secondo quanto riporta il sito di Asianews – è la setta pseudo-cristiana Sarang Jeil, la cui sede è nel nord di Seoul. Lo scorso 15 agosto, contro le indicazioni del governo, il leader del gruppo religioso, il pastore Jun Kwang-hoon, ha organizzato un incontro di massa per celebrare il Giorno della Liberazione e per criticare l’esecutivo del presidente Moon Jae-in. Al raduno hanno partecipato decine di migliaia di persone. Il ministro della sanità Kim Ganglip nei giorni scorsi ha lanciato un appello perché tutti i membri della setta si sottopongano a test. Su 2mila persone testate sono emersi 315 casi positivi, e i membri ufficiali della setta sarebbero almeno 4mila.
L’incuria mostrata dalla setta Sarang Jeil ha scatenato un’ondata di critiche. Vi è stata addirittura una petizione on-line che esige l’arresto del pastore Jun, reo di «danneggiare la sicurezza della società sotto la maschera della religione». Per i firmatari della petizione, Jun ha «vanificato» gli sforzi della nazione per contenere l’epidemia di coronavirus e non mostra segni di pentimento.
Un’altra setta, la chiesa Shincheonji di Gesù, è stato il principale vettore dell’infezione nel Paese. Ai primi di marzo, il 56,1% dei casi di contagio riguardava suoi membri. Alcuni di loro avevano visitato Wuhan (Hubei), epicentro della pandemia, dopo il 23 gennaio, quando la città cinese era stata messa in isolamento.