Le chiese americane scendono in piazza
08 giugno 2020
Le proteste per l’uccisione di George Floyd potrebbero rappresentare un momento di svolta per gli Stati Uniti. Le chiese stanno ritrovando il loro ruolo di promotrici della giustizia sociale.
Da più di una settimana si protesta negli Stati Uniti. La richiesta delle strade e delle piazze è una sola: voltare pagina, lasciarsi indietro una troppo lunga stagione di odio, razzismo, segregazione, diversità. L’episodio scatenante è stata l’uccisione di George Floyd, un uomo afroamericano, da parte di alcuni agenti della polizia di Minneapolis. Il video che riprende i poliziotti nell’atto di tenerlo bloccato a terra è circolato rapidamente, sulla sola piattaforma YouTube (su cui è stato pubblicato da diversi account) ha ottenuto complessivamente alcune decine di milioni di visualizzazioni. Una velocità di diffusione che ha portato subito centinaia di persone a scegliere di protestare pubblicamente, online e fisicamente.
Anche le chiese statunitensi hanno preso forti posizioni, in primo luogo nel momento in cui è giunta la notizia dell’uccisione di George Floyd. Le chiese hanno riscoperto il loro ruolo di promotrici di uguaglianza e giustizia, un ruolo che già avevano rivestito alla fine degli anni Sessanta, quando pastori e pastore marciavano per chiedere diritti e la fine della guerra in Vietnam. Con il tempo avevano perso parte di questa forza e di questa volontà di manifestare per i cambiamenti sociali, ma «adesso sono determinate ad alzare le voci per denunciare questo fatto in particolare e anche tutto quello che ci sta dietro, un razzismo che permane» spiega Victoria Munsay, membra della Csd (Commissione sinodale per la diaconia).
Secondo le statistiche del Southern Poverty Law Center, centro di studi sull’odio e il razzismo, negli Stati Uniti sarebbero al momento attivi 1.020 hate groups, “gruppi d’odio” che portano avanti ideologie anti immigrazione, di white supremacy, di supremazia maschile, di odio generale… L’elenco potrebbe essere molto più lungo, ma è certamente indicativo di una certa strutturalità dell’odio nel Paese. «ci sono persone assolutamente non commosse a vedere scene come quella dell’uccisione di Floyd», continua Munsay, «ma questa volta l’indignazione delle chiese non si calmerà facilmente. Hanno capito che è il momento per loro di dire basta, di scendere in piazza e fare pressione sui politici».
La politica sta giocando un ruolo importante nelle proteste. Sono noti i diversi episodi in cui il presidente Donald Trump si è schierato apertamente contro i manifestanti, arrivando a minacciare un intervento dell’esercito. Allo stesso modo è noto l’episodio in cui Trump ha fatto disperdere con l’uso di lacrimogeni e pallottole di gomma la folla pacifica radunata davanti alla Casa Bianca per potersi recare alla chiesa di St. John. Qui il presidente si è fatto ritrarre con una Bibbia in mano, simbolo molto forte. Troppo forte per le chiese statunitensi, che l’hanno letto come un tentativo di dimostrare che i cristiani sono dalla parte di Trump, quindi contro le proteste. In molti hanno alzato la voce per dissentire, bollando questo gesto come quasi sacrilego, un’appropriazione di un simbolo religioso per una partita puramente politica.
Negli ultimi giorni anche le comunità meno progressiste hanno fatto dichiarazioni di supporto a chi manifesta. È il momento, per le chiese americane, di assumere una posizione forte.