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Addio a Giovanni Ruffino il «cantapoeta» alpinista

Il suo corpo è stato recuperato sabato mattina dalle squadre del Soccorso Alpino e Speleologico piemontese

«Giovanni Ruffino veniva spesso a Torino a suonare la sua musica e ad ascoltare quella degli altri. Era un bravissimo musicista, scriveva bellissime canzoni. Umile, pacato, se ne stava un po’ in disparte e mi piaceva molto il suo modo di fare. Una bella persona. Amava la natura e il silenzio. Finita la serata, si allontanava dal caos della città e tornava nel silenzio, tra gli alberi. Nel silenzio, tra gli alberi, è andato via», così Liana Marino cantante, chitarrista, autrice molisana, ha ricordato sulla sua pagina Facebook il collega cinquantatreenne trovato morto sabato mattina sul fondo di un canalone tra la Val di Susa e la Val Chisone. 

Ruffino, pinerolese residente a San Pietro Va Lemina, era un musicista, un alpinista. Alto, robusto e dalla voce calda e profonda, amava la poesia. Amava soprattutto Georges Brassens e definirsi autore, compositore e interprete, ma era un esperto anche di escursioni, tanto da essersi occupato della chiodatura e della messa in sicurezza di alcune vie in Val Chisone. É morto probabilmente nella notte di venerdì rientrando verso la pianura dopo aver raggiunto la vetta del monte Francais Pelouxe, in alta val Chisone. Alpinista esperto conosceva bene la montagna (anche le sue insidie), la amava e la rispettava. Per tanti anni aveva gestito il Rifugio Selleries. 

Giovanni, ricordano gli amici, lasciava sempre una traccia in chi l’aveva conosciuto. Molti, infatti, sono i commenti e i ricordi che oggi compaiono sulle pagine social e sulla sua Facebook, che li raccoglie. 

«Ricordo il tuo arrivo nella mia vita - scrive un’amica d’oltralpe - una sera in Italia dieci anni fa. Eri pazzo di Georges Brassens, hai saputo che c’erano dei francesi in quell’angolo remoto del Piemonte e venivi a provare la fortuna. Ti sei imbattuto in un’altra pazza per Brassens, ma che non osava cantare. Così mi hai spinto a farlo ed eri contento. Ne abbiamo fatte di serate in questo magico luogo che non esiste più, l'europeo felice. Grazie amico mio, grazie per quello che sei stato e quello che sei nella mia vita».

Anche la cantautrice della Val Germanasca, Valeria Tron, lo ricorda così: «Poi alla fine toccava a noi. Avevamo aspettato molto in camerino, tra una mandorla e un vecchio canto da osteria -incomprensibile a quasi tutti - ma tant’ale’. Era per divertirsi, stemperare l’attesa. Mi hai guardata torvo: “Sei sicura che vuoi farla? Non l’abbiamo provata...”. “Beh. Proviamola sul palco! Tu segui me, io seguo te. E bon”. 

La Musica è fiducia nell’altro; ci si affida totalmente alle orecchie, alle dita, alla voce e sensibilità dei compagni. 

Il teatro era pieno. Noi abbastanza improvvisati da sembrare sicuri. Alla fine abbandonai persino il microfono e cantai senza.  Alla fine, per ringraziare la vita, che davvero, concede tanto. Ho ritrovato questa registrazione senza cercarla, ed è tornata la storia di quella sera, tra una mandorla e una vecchia canzone da osteria. “Me ha dado la marcha de mis pies cansados; Con ellos anduve ciudades y charcos, Playas y desiertos, montanas y llanos”».

Ciao Giovanni.

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