75 anni fa la fine della II guerra mondiale in Europa
07 maggio 2020
Il decano della Chiesa luterana in Italia: «Ognuno ha una responsabilità per la pace»
Alle ore 23:01 dell’8 maggio 1945 fu ufficializzata la resa incondizionata del Reich tedesco. In Russia, a causa della differenza di fuso orario, la ricorrenza del Giorno della Vittoria viene celebrata invece il 9 maggio. La Seconda Guerra Mondiale era iniziata il 1° settembre 1939 e vi trovarono la morte almeno 55 milioni di persone. La maggior parte di loro erano civili. Solo in Unione Sovietica le vittime furono più di 24 milioni. Nella maggior parte dei paesi europei l’8 maggio viene celebrato come il giorno della liberazione. La Repubblica Federale Tedesca invece fino agli anni Settanta ha affrontato questa data con sentimenti contrastanti: Memoria della totale sconfitta militare o invece, Giorno della Liberazione dal regime nazista. Willy Brand è stato il primo Cancelliere federale a rilasciare una dichiarazione ufficiale del governo in occasione del 25° anniversario nel 1970. Il presidente federale Richard von Weizsäcker nel 1984 definì l’8 maggio un giorno di liberazione, così come il Cancelliere federale Gerhard Schröder, che l’8 maggio del 2000 parlò di «Giornata di liberazione dal dominio nazionalsocialista, dal genocidio e dall’orrore della guerra». Oggi in Germania è in discussione la proposta di dichiarare l’8 maggio festa nazionale. Il decano della Chiesa Evangelica Luterana in Italia, Heiner Bludau, è nato dieci anni dopo la fine della guerra. Nella sua dichiarazione in occasione della 75a commemorazione dell’8 maggio, richiama ognuno – al di là della dimensione politico-sociale-economica – alla sua personale responsabilità per la pace. Ognuno deve operare per la pace a partire dalla propria sfera personale. Di seguito la dichiarazione di Heiner Bludau.
75 anni fa finì la Seconda guerra mondiale. Anche se sono nato solo dieci anni dopo questa data, questa guerra ha comunque modellato la mia vita. Anche se certamente in modo molto diverso da coloro che vi hanno perso la vita.
Crescendo negli anni del miracolo economico, il cosiddetto Wirtschaftswunder, in un periodo che per la maggior parte della popolazione si era già lasciato alle spalle il “dopoguerra”, mi è stato precluso lo sguardo sugli orrori degli anni del conflitto. Come molte altre persone della loro età, i miei genitori non volevano quasi mai parlare delle loro esperienze di quegli anni. Che siano stati i sensi di colpa a impedirglielo, o semplicemente l’orrore per quanto vissuto, ancora oggi non lo so. Ma mi hanno trasmesso però un sentimento diffuso verso la vita, che è il contrario della gioia di vivere.
Alla fine degli anni Sessanta cominciò anche a farsi largo pubblicamente l’esigenza di interrogarsi sul passato. La conseguenza fu un conflitto generazionale che toccò tanto la politica e la società, quanto la sfera personale. I ricordi della guerra assumevano generalmente una valenza politica: o venivano associati ad accuse, o servivano come auto-giustificazione. Io sono rimasto con le mie domande, e solo dopo la scuola ho trovato l’opportunità di affrontarle davvero. Influenzato da pensieri pacifisti, ho rifiutato il servizio militare a favore di un servizio di pace sociale internazionale, organizzato da “Aktion Sühnezeichen”, un’associazione ecclesiastica fondata già alla fine degli anni Cinquanta per contrastare la tendenza all’oblio nei confronti del passato tedesco. “Chi non ricorda il passato è condannato a riviverlo” era un motto che mi è rimasto impresso. In preparazione al servizio nelle istituzioni sociali in Israele, il nostro gruppo ha visitato il memoriale del campo di concentramento di Auschwitz. Lì ho finalmente potuto prendere coscienza, almeno in una certa misura, dell’entità della catastrofe della Shoah.
Sei milioni di ebrei uccisi, per un totale di più di 55 milioni di vittime della guerra – sono numeri che indicano l’entità delle sofferenze. Ma si riescono a capire di fronte a queste cifre inimmaginabili? Nel corso degli anni ho imparato, che se da un lato è importante essere consapevoli di queste cifre, d’altro canto è ancora più importante, quando si tratta del passato, occuparsi dei destini individuali delle singole vittime. In quest’ottica per me è stata un’esperienza molto importante e toccante incontrare di persona i sopravvissuti della Shoah. Non solo come preziosa testimonianza contro gli ancora esistenti e al momento addirittura crescenti tentativi di negazionismo, di ignorare e negare i fatti storici. Ma anche perché lo spirito vitale di chi ha attraversato questo inferno può essere fonte di ispirazione.
E così il servizio volontario presso l’Aktion Sühnezeichen mi ha dato importanti impulsi per il mio futuro percorso di vita. L’impegno costante per la pace rimane un compito centrale. Come tedesco, credo che non si debba dimenticare mai che la Seconda Guerra Mondiale è stata iniziata dal nazionalsocialismo tedesco. Non voglio negare la colpa del popolo a cui appartengo. E lo stesso vale per l’aspetto politico, questo soprattutto in vista di un nazionalismo dilagante non solo in Germania. Vivo come un’opportunità il fatto che il mondo non sia più diviso in blocchi, anche se effettivamente questo sembra aver dato luogo a più nuovi scontri che ad un’ampia cooperazione. Un fenomeno che si manifesta soprattutto in Europa. A prescindere di tutte le problematiche sorte nell’ambito della Comunità europea, sono convinto che dobbiamo ricordare con gratitudine gli aspetti positivi portati dalla cooperazione, soprattutto ricordando che negli anni Ottanta, quindi solo 40 anni fa, un tale avvicinamento e scambio tra gli Stati era ancora del tutto impensabile.
Ma la pace non ha solo una dimensione politica, sociale ed economica. Riguarda anche la “convivenza” personale. Percepire i propri simili con le loro peculiarità, accettare le loro differenze e apprezzarli (amarli) per quello che sono, è un prerequisito decisivo per una vera pace. E la condizione per la vera pace è che le persone trovino la pace interiore. E qui entrano in gioco le Chiese, le Chiese possono dare un contributo importante a questo processo, perché il messaggio cristiano comunica questa pace interiore e invita le persone a trasmetterla.
Ma in tutto questo non dobbiamo perdere di vista il passato. Sono dieci anni che vivo a Torino. Come impegnarmi qui in modo efficace per la pace? Un capoluogo con cittadini provenienti da molti paesi diversi, appartenenti a diverse religioni e confessioni e con profili sociali differenziati, apre un grande spettro di impegno attivo per la pace, pace intesa nel senso più ampio del termine.
Tuttavia, in vista della giornata di commemorazione dell’8 maggio, ci tengo a condividere un altro pensiero. Non lontano da casa mia c’è un monumento che commemora l’Eccidio sull’isola greca di Cefalonia dove nel settembre 1943, soldati tedeschi uccisero diverse migliaia di soldati italiani. Un numero ristretto durante i combattimenti, la maggior parte invece successivamente, attraverso fucilazioni di massa. I dettagli storici sono stati oggetto di discussioni e controversie negli anni, come del resto tanti altri episodi bellici. Fatto sta che i soldati tedeschi hanno commesso un eccidio di soldati italiani, fino a qualche giorno prima, l’8 settembre 1943, loro alleati e poi diventati da un giorno all’altro nemici a seguito dell’Armistizio di Cassibile. La successiva occupazione dell’Italia da parte delle truppe tedesche, e la liberazione da essa, vengono commemorate ogni anno il 25 aprile. Cefalonia poi non è stato l’unico eccidio in quel periodo buio. Ma devo ammettere che da quando ho scoperto per la prima volta il monumento a Torino cercando successivamente di sapere di più su quanto accaduto, sono stato particolarmente toccato dai crimini di guerra della Wehrmacht a Cefalonia: in particolare il fatto che nel giro di soli dieci giorni delle persone con un orientamento comune, (per quanto negativamente possano anche essere giudicati il fascismo e il nazionalsocialismo) diventassero nemici mortali e che la politica di guerra tedesca non permettesse altro modo di affrontare questa nuova situazione che fucilare tutti i soldati e ufficiali nemici.
Per me questo singolo evento sottolinea in modo particolare il fatto di quanto fu terribile questa guerra. Non dobbiamo dimenticarlo mai. E sono grato per tutte le iniziative che si impegnano a superare i conflitti, a prevenire le guerre in generale, e ancor più la loro espansione globale.