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Iqbal Masih, una battaglia da illuminare

Il 16 aprile del 1995 moriva in circostanze non chiare il bambino che fece emergere il dramma del lavoro minorile nel mondo

«Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite» sosteneva Iqbal Masih (Muridke, 1983 – Muridke, 16 aprile 1995), il bambino operaio, e attivista pachistano, diventato il simbolo della lotta contro il lavoro minorile.

Domani 16 aprile, ricorre la data che ricorda la sua scomparsa. Una morte prematura causata da una sparatoria avvenuta nelle strade di Muridke. 

Iqbal, già allora, era il simbolo della lotta allo sfruttamento e del lavoro minorile. 

«Una piaga – come ricorda l’’organizzazione Save the Children in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile che si celebra ogni anno il 12 giugno – di portata mondiale». 

Se questi bambini «vivessero tutti in unico Paese costituirebbero il nono Stato più popoloso al mondo, più del doppio dell’Italia, più grande anche della Russia».

152 milioni di minori tra i 5 e i 17 anni, 1 su 10 al mondo, vittime di sfruttamento lavorativo, di cui quasi la metà – 73 milioni – «costretti a svolgere lavori duri e pericolosi, che ne mettono a grave rischio la salute e la sicurezza, con gravi ripercussioni anche dal punto di vista psicologico».

Sessantaquattro milioni di bambine e 88 milioni di bambini che si vedono sottrarre l’infanzia alla quale hanno diritto, allontanati dalla scuola e dallo studio, privati della protezione di cui hanno bisogno e dell’opportunità di costruirsi il futuro che sognano. 

In più di 7 su 10 vengono impiegati in agricoltura, mentre il restante 29% lavora nel settore dei servizi (17%) o nell’industria, miniere comprese (12%).

Iqbal Masih, nacque nel 1983 in una famiglia molto povera. A quattro anni lavorava in una fornace, a cinque fu venduto dal padre ad un venditore di tappeti per pagare un debito di 12 dollari. Fu costretto a lavorare 10-12 ore al giorno incatenato al telaio e sottonutrito, tanto da riportare un danno permanete per la sua crescita.

Nel 1992 riuscì a uscire di nascosto dalla fabbrica e partecipò insieme ad altri bambini a una manifestazione del Bonded Labour Liberation Front (Bllf). 

Ritornato nella fabbrica di tappeti, si rifiutò di continuare a lavorare malgrado le percosse. La famiglia fu costretta dalle minacce ad abbandonare il villaggio; Iqbal, ospitato in un ostello dalla Bllf, ricominciò fortunatamente a studiare.

Dal 1993, poi, iniziò la sua attività di sensibilizzazione con numerosi viaggi e la partecipare a conferenze internazionali per far comprendere all’opinione pubblica la questione e la portata del lavoro minorile, la grave situazione dei diritti negati ai bambini lavoratori pachistani. 

Iqbal, dunque, contribuì a favorire nel mondo un dibattito serio sulla schiavitù mondiale e sui diritti internazionali dell’infanzia.

Nel dicembre del 1994 presso la Northeastern University di Boston ricevette il premio Reebok Human Rights Award. Vista la giovanissima età fu istituita un’apposita categoria: la Youth in Action.

Il 16 aprile del 1995, giorno di Pasqua, la morte.

Due cugini che quel giorno erano con lui, Faryad e Lyakat, riferiscono che Iqbal fu colpito alla schiena mentre era sulla sua bicicletta in occasione di una sparatoria. Le dinamiche dell’accaduto non furono mai accertate e rimangono tutt’ora incerte. 

A seguito della sua morte il tema del lavoro minorile e in special modo quello dell’industria pakistana dei tappeti è però emerso con forza.

Iqbal oggi è un simbolo e molte scuole sparse nel mondo sono a lui dedicate, portando con onore e riconoscenza il suo nome.

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