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Laurea honoris causa a Mukwege, «l'uomo che ripara le donne», premio Nobel 2018

Il medico congolese ha ricevuto il riconoscimento dalla Facoltà di medicina dell'università protestante del Congo. Oltre 50mila donne curate nella sua vita, e una incessante testimonianza contro gli orrori delle guerre

La cattedrale del “centenario” della Chiesa di Cristo in Congo a Kinshasa, la capitale della Repubblica democratica del Congo, costruita nel 1978 nell’ambito delle celebrazioni per i 100 anni di presenza protestante nel grande stato africano (furono battisti i primi insediamenti), era gremita in ogni ordine di posto ieri 10 marzo per abbracciare idealmente uno dei figli più cari di questa terra: il medico, e pastore pentecostale, Denis Mukwegepremio Nobel per la Pace 2018. L’occasione è data dalla decisone della Facoltà di medicina dell’Università protestante del Congo di conferire al creatore dell’ospedale di Panzi, “l’uomo che ripara le donne”, una laurea honoris causa per l’impegno lungo decenni del ginecologo congolese «nel sostenere i deboli e in particolare le vittime della violenza sessuale basata sul genere».

7500 persone, questa la capienza della grande chiesa, hanno ascoltato dalla bocca di Mukwege il racconto di decenni di impegno: «Ci prendiamo cura delle vittime di violenza sessuale da oltre 25 anni. Il nostro progetto iniziale era di combattere la mortalità materna e sostenere le donne a partorire in sicurezza. Ahimè! La guerra economica che ci è stata imposta e che sta devastando il nostro Paese per saccheggiare le sue risorse minerarie ci ha fatto scoprire una realtà fino ad allora sconosciuta in patria: lo stupro commesso con estrema violenza, vero terrorismo sessuale usato come arma di guerra e uno strumento devastante per costringere le comunità a fuggire o per soggiogarle e impossessarsi della loro terra». Queste drammatiche testimonianze Mukwege le aveva rese anche poco più di due anni fa, al momento di una sua visita a Torino.

«Questa violenza enorme, metodica e sistematica commessa sui corpi di donne e bambini, commessa soprattutto in pubblico, accompagnata da atti di tortura, provoca conseguenze fisiche e mentali, un profondo trauma psicologico per i sopravvissuti e le loro famiglie che vedono distrutto il tessuto di capacità sociali ed economiche delle comunità colpite», ha aggiunto davanti alle autorità accademiche e ai vari ospiti.

Le conseguenze di questo conflitto, ha detto, non richiedono una risposta medica.

«Il contesto di conflitto che ha colpito il nostro paese dagli anni '90 del secolo scorso ci ha costretti a specializzarci nella chirurgia riparativa e nell’intervento su patologie ginecologiche invalidanti come le fistole. Molto rapidamente, ci siamo resi conto che le risposte mediche e chirurgiche, sebbene necessarie, non erano sufficienti e gradualmente abbiamo sviluppato anche un’assistenza olistica.

 Il dottor Mukwege ha anche sfidato la società congolese sulla sua responsabilità di fronte a questi crimini e alle vittime.

«Quando la società non è in grado di proteggere donne e bambini in tempo utile, ha il dovere morale e legale di garantire cure accessibili e non stigmatizzanti dei sopravvissuti e di mobilitarsi per prevenire il ripetersi di questi crimini odiosi» ha proseguito.

Ripercorrendo la situazione dei diritti umani e lo sfruttamento delle ricchezze del paese fin dai tempi coloniali Mukwege ha esortato i presenti a comprendere come «sia giunto il momento per tutti di agire per cambiare l’immagine del nostro Congo e porre fine al calvario del popolo.

Il presidente della Chiesa di Cristo di Congo, pastore André Bokundoa-bo-Likabe ha sottolineato che «tale riconoscimento al dottor Mukwege è un modo per la chiesa di onorare un figlio che ha fatto onore alla nostra nazione nel mondo.

E alle chiese, più volte in passato, Mukwege si è rivolto con parole di forte esortazione a farsi finalmente capofila nella lotta alle discriminazioni di genere, che in Africa rappresentano ancora un dramma che si perpetua all’interno anche delle comunità di fede. In tal senso ricordiamo le sue parole pronunciate durante la dodicesima assemblea mondiale della Federazione luterana mondiale, a Windhoek, in Namibia, nel 2017: «Riconosciamo che vari membri di chiesa hanno parlato contro la violenza di genere. Ma sappiamo anche che sul tema ci sono seri problemi, non solo nelle nostre società, ma dentro le nostre stesse chiese. Conosciamo e sperimentiamo abusi all’interno delle nostre chiese. Clero maschile abusa del clero femminile, maschi nelle congregazioni abusano di donne e ragazze nelle chiese, e a volte i leader di queste chiese rifiutano di riconoscere il problema. Molestie e violenze devono essere bandite dalle nostre chiese, da tutte le chiese. Gli esseri umani non sono in vendita, un incarico non può essere ottenuto solo dietro favori sessuali. Le tradizioni consolidate nei secoli e financo la teologia vengono utilizzate per frenare il processo di parità fra i sessi, per stoppare la voce delle donne. Condanniamo tutto ciò perché la chiesa deve esser luogo di pace, a partire dai propri vertici, che devono essere formati per riconoscere le violenze e capaci di dire basta alle violenze di genere».

Il dottor Mukwege ha curato oltre 50 mila donne, un numero terribilmente enorme, eppure relativo. Vittima a sua volta nel 2012 di un attentato in cui ha perso la vita la sua guardia del corpo e amico Joseph Bizimana, da alcuni anni affianca agli interventi sul campo una ampia campagna di informazione che lo vede ospite di vari consessi internazionali, tanto da vedere a più riprese riconosciuto il proprio impegno con l’assegnazione di vari premi oltre al Nobel fra i quali l’Olof Palme Prize, il premio diritti umani delle Nazioni Unite e il premio Sakharov consegnatoli nel 2014 dal Parlamento europeo.

 

Foto: Mukwege a Torino ospite del Centro piemontese di studi africani

 

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