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Cec. Test nucleari una vera «pandemia»

L’energia totale rilasciata dalle esplosioni nucleari provocate da Stati Uniti, Regno Unito e Francia nel Pacifico equivale a 9.010 bombe di Hiroshima

«Le isole del Pacifico continuano a subire l’impatto devastante causato da cinquant’anni di test nucleari. La regione è oggi, suo malgrado, un riferimento negativo per testare i cambiamenti climatici», l’ha affermato la Commissione delle Chiese per gli affari internazionali del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), in occasione dell’incontro tenutosi questa settimana a Brisbane in Australia.

La Cinquantasettesima sessione della Commissione ha riunito esperti, ricercatori, leader delle chiese locali e membri Cec, che operano nel campo dei cambiamenti climatici e indagano l’impatto causato dai test nucleari sul Pacifico e sull’ambiente circostante. Test nucleari - è stato denunciato - che hanno «un impatto negativo anche sulle ultime generazioni e su tutta la popolazione mondiale».

Dal 1946 al 1996, sono 322 i test nucleari effettuati nella regione del Pacifico da Usa Francia e Regno Unito.

La sola Francia ha testato 193 bombe negli atolli di Moruroa e Fangataufa nel Maohi Nui (Polinesia francese) sin dal 1966. 

Gli scienziati stimano che le scorie nucleari rimarranno in quei luoghi per più di 300.000 anni.

Gli effetti sulla salute per molti isolani sono devastanti e colpiranno ancora diverse generazioni; i casi di cancro sono aumentati di tre volte, dopo i test.

«Ai miei genitori è stato diagnosticato il cancro e non saprò mai quanto sarà influenzata anche la mia salute; la mia preoccupazione però è tutta per i miei figli e per il loro futuro», ha affermato il pastore François Pihaatae della chiesa protestante di Maohi ed ex segretario generale della Conferenza delle Chiese del Pacifico. 

«Le vittime dei test nucleari dovrebbero essere ascoltate, accompagnate, curate e ricompensate», ha rilevato ancora Pihaatae, esprimendo la speranza che la comunità mondiale si muova in questo senso e poi ha ringraziato il Cec e le chiese regionali per l’impegno costante teso ad accompagnare le vittime dei test nucleari nel Pacifico.

«L’energia totale rilasciata dalle esplosioni nucleari provocate dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e dalla Francia nel solo Pacifico equivale a 9.010 bombe di Hiroshima», l’ha ricordato il professor Matthew Bolton dell’Università di Pace (Usa) e direttore dell’International Disarmament Institute di Pace.

Le radiazioni dai test nucleari colpiscono le persone in modo diseguale «tuttavia non risparmiano nessuno: non esiste un livello che possa essere considerato “sicuro”. Le donne e le ragazze sono più vulnerabili alle radiazioni rispetto agli uomini», ha proseguito Bolton.

I test nucleari dovrebbero essere visti anche come un’intrusione nella sovranità delle nazioni del Pacifico, «non può essere sufficiente coprire queste azioni con il “segreto di alto livello”. Inoltre i test hanno conseguenze transnazionali in quanto le ricadute delle esplosioni viaggiano in tutto il mondo e colpiscono altri paesi».

Tra i principali suggerimenti di Bolton e su come le chiese potrebbero rafforzare il loro impegno aiutare, c’è quello «di mettere in essere un maggior sostegno al Trattato sul proibizionismo delle armi nucleari nel Pacifico; far emergere a livello internazionale le complicazioni umanitarie e ambientali già in atto nella regione amplificando le voci e la partecipazione dei sopravvissuti per farle arrivare alla diplomazia mondiale e ai forum dedicati». 

L’incontro, poi, ha affrontato gli ultimi dati relativi ai cambiamenti climatici e alle influenze umane e naturali sul riscaldamento globale: la temperatura globale è aumentata di 1,1 gradi rispetto alla linea base preindustriale. La gamma delle temperature medie è cambiata in modo significativo e la mappa delle anomalie delle temperature mostra che «nessun luogo al mondo è al sicuro, nemmeno i poli Nord e Sud», ha detto Howden.

Negli ultimi trent’anni vi è stato un raddoppio delle ondate di calore marine e l’innalzamento del livello del mare sta accelerando inaspettatamente, rendendo la regione del Pacifico particolarmente vulnerabile. 

 

 

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