La gioia di essere pastore
16 gennaio 2020
Compie cento anni il sindacato dei pastori francesi e riflette sull’evoluzione del ruolo pastorale oggi, figura “bipolare” che deve affrontare molte contraddizioni
“La gioia di essere pastore”, un titolo che indubbiamente attira l’attenzione e che forse qualcuno troverà insolito. È quello scelto nel centenario dell’Associazione dei pastori di Francia (Apf), l’associazione sindacale che rappresenta i 2400 iscritti ai ruoli delle chiese e delle opere che fanno parte della Federazione protestante di Francia (Fpf).
Nata nel 1920, appunto, l’Apf organizza ogni anno un incontro pastorale nazionale di cui invia a tutti gli iscritti i materiali relativi (relazioni, interventi, informazioni utili, attraverso due strumenti, le “Lettres” e i “Cahier”, questi ultimi disponibili sul sito http://pasteursdefrance.fr/) nell’ottica di una formazione permanente. Inoltre ha fondato nel 1964 e gestisce una casa di riposo per i pastori (o altri) emeriti e opera per il «miglioramento della situazione morale, sociale ed economica dei pastori», come si legge sul sito della Chiesa protestante unita (Epudf) che ne riporta la notizia. «Al servizio dei loro interessi generali e professionali, l’Associazione conduce la sua azione in modo indipendente in collaborazione con le istituzioni protestanti francesi ed europee».
Dal 29 al 31 marzo, dunque, la pastorale nazionale avrà luogo a Parigi con il titolo, appunto “La gioia di essere pastore”, trattando le varie “bipolarità” con cui il ruolo di pastore deve confrontarsi ogni giorno, come scrive il presidente Christian Barbéry: «egli esercita un ministero in tensione fra efficacia e gratuità, vita pubblica e vita privata, attese tradizionali e moderne, ministero personale e condiviso con altri, cura d’anime e lavoro teologico».
A un secolo dalla nascita dell’Apf, le chiese francesi si chiedono “a che punto è” oggi il ruolo pastorale. Molta acqua è passata sotto i ponti, scrive ancora Barbéry, e il pastore «da un ruolo di insegnante è passato a un ruolo di animatore».
Si è parlato di crisi (non a caso la pastorale nazionale del 2019 aveva come tema “La solitudine nel ministero pastorale”), ma è un dato di fatto che «il pastore è ancora lì, al cuore della vita delle chiese, a occupare, volente o nolente, quella funzione simbolica necessaria alla coesione di un gruppo».
Da qui l’idea della “gioia”: nonostante le contraddizioni e le difficoltà, sostiene Barbéry, «oggi sembra che il ministero pastorale sia vissuto in maniera più tranquilla, essendo riconosciuto e accettato».
All’incontro parigino parteciperanno come oratori il sociologo francese Jean-Paul Willaime, (titolare della cattedra in Storia e sociologia dei protestantesimi all’École Pratique des Hautes Études, e membro del Groupe Société, Religions, Laïcités), e il pastore Enrico Benedetto, già pastore in Francia e prima ancora giornalista e insegnante di filosofia, oggi professore di Teologia pratica alla Facoltà valdese di Roma, che ha già partecipato negli anni passati a questo tipo d’incontro. Con lui avevamo trattato, lo scorso agosto, proprio la questione dell’evoluzione della figura pastorale in occasione della presentazione del numero dei “Quaderni della Diaconia” sull’assistenza agli anziani (leggi l’intervista qui).