In Egitto si torna in piazza
25 settembre 2019
Centinaia di manifestanti sono scesi in strada nel fine settimana nella città portuale di Suez per chiedere le dimissioni del presidente al-Sisi. Non succedeva da tempo
Gas lacrimogeni, arresti, scontri. Il copione andato in scena nelle notti tra venerdì 20 e domenica 22 settembre in Egitto segna il ritorno di manifestazioni antigovernative nel Paese per la prima volta, o quasi, dal colpo di Stato con cui nel 2013 i militari deposero il presidente Mohamed Morsi e portarono al vertice del Paese Abdel Fattah al-Sisi.
Venerdì 20, nella città portuale di Suez, migliaia di persone erano scese in strada per protestare contro la corruzione della politica egiziana, seguendo l’appello dell’imprenditore in esilio Mohamed Ali, che aveva accusato al-Sisi di spendere fondi pubblici in opere puramente autopromozionali. «C'è molta stanchezza nella popolazione, legata a pessime condizioni economiche e a casi di corruzione», racconta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, che da anni denuncia la sistematica repressione in Egitto. Le proteste sono cominciate in corrispondenza dell’uscita dal Paese del presidente al-Sisi, che si trova a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, cogliendo forse di sorpresa le stesse forze di sicurezza, che sono intervenute in modo decisamente più limitato rispetto al passato. «Non ci si aspettava queste proteste», conferma infatti Noury. «Queste persone sfidano una repressione senza precedenti negli ultimi sei anni e c'è anche chi pensa che ci sia una parte dell'esercito che sia stata, almeno inizialmente, disposta a lasciar fare». Sabato sera, tuttavia, a distanza di un giorno dalle prime manifestazioni che hanno coinvolto anche altre città, come Alessandria, Giza e la capitale Il Cairo, 200 persone sono tornate nelle vie della città portuale, trovando questa volta le forze di sicurezza decisamente più pronte, i mezzi antisommossa schierati e incontrando una dura repressione.
È troppo presto per capire se ci si trovi di fronte a un episodio isolato oppure se ci si debba aspettare l’inizio di una nuova stagione, ma molto dipenderà dalle prossime settimane. «Non è escluso – chiarisce Riccardo Noury – che a questa protesta, che ha alla base un malcontento di natura economica, perché si vede intorno a sé gente che si arricchisce con azioni illecite mentre la povertà si diffonde e i prezzi aumentano, poi si aggiungano anche rivendicazioni più politiche».
Le proteste sono le prime di una certa rilevanza dal 2013 in un Paese che ha sempre avuto una tra le società civili più attive politicamente, ma che negli ultimi anni, complice una repressione sempre più dura e sistematica a ogni livello, sembrava aver perso la voce. Se quello che stiamo vedendo in questi giorni a Suez si estendesse davvero anche al Cairo, come già in parte successo venerdì, allora l’attenzione si potrebbe davvero sollevare. Intanto, la macchina politica di al-Sisi sembra già essersi messa in moto, e dalla capitale gli attivisti riferiscono che Piazza Tahrir, epicentro della rivoluzione del 2011 contro Hosni Mubarak, è presidiata in modo permanente da una massiccia presenza di polizia. «È stata emanata una direttiva ai corrispondenti esteri in Egitto – racconta Noury – spiegando bene cosa devono fare e soprattutto cosa non devono fare. Alcune di queste disposizioni sono esilaranti, come quella che dice che in ogni capitale del mondo ogni giorno ci sono piccoli disordini e che non viene data loro la stessa rilevanza». Falso allarme o vera preoccupazione da parte del regime egiziano?