«È una crisi morale, non una crisi migratoria»
21 gennaio 2019
Prese di posizione dei leader della United Church of Christ contro la politica di Trump e lo shutdown che sta paralizzando gli Stati Uniti
«Ci troviamo di fronte a una crisi morale come paese, non a una crisi dei confini o a un’emergenza nazionale». Così commenta il past. John C. Dorhauer, presidente della United Church of Christ, che insieme agli altri leader nazionali della Ucc ha replicato alle ultime dichiarazioni di Donald Trump.
Il Presidente, facendo appello al popolo americano per poter spendere miliardi per la sicurezza delle frontiere, con l’obiettivo di porre fine «a una crescente crisi umanitaria», definita «una crisi del cuore e dell’anima», ha esortato i Democratici a negoziare per la fine dello shutdown federale (ne abbiamo parlato qui, citando tra l’altro le azioni intraprese dalle chiese per aiutare i dipendenti federali senza stipendio da un mese) che ormai sta bloccando gli States da quattro settimane, proposta peraltro rigettata.
Rifiutando le argomentazioni del Presidente a favore di una barriera al confine meridionale, si legge sul sito della Ucc, gli esecutivi della United Church of Christ ne hanno ricordato la lunga storia di accoglienza dei rifugiati, richiedenti asilo e migranti, a prescindere dal loro status, «perché crediamo che tutti siano uguali agli occhi di Dio».
Il pastore Dorhauer ha inoltre commentato: «Crediamo nel Dio dell’abbondanza e non nel mito della scarsità e della xenofobia. Paure create ad arte sono sempre state un modo per giustificare la disumanizzazione di comunità emarginate». E ha continuato: «Lo shutdown provocato da questo governo sta penalizzando milioni di americani, che si trovano privati di servizi essenziali». Inoltre, più di 800.000 dipendenti federali continuano a non ricevere lo stipendio: «Shutdown e dichiarazioni di emergenza non sono il modo per governare una nazione democratica. Non possiamo, come paese, tradire i nostri valori fondamentali e mettere da parte i più vulnerabili. C’è accordo fra le forze politiche sul fatto che il nostro sistema immigratorio va regolamentato, ma un muro di confine non è la risposta».
E gli ha fatto eco la collega pastora Traci Blackmon, ministero per la giustizia e le chiese locali: «Il presidente Trump sta già costruendo il suo muro. Nonostante il sostegno bipartisan per una reale e umana sicurezza dei confini, sta costruendo un muro fra partiti politici, a spese della gente. Per 800.000 dipendenti federali e le loro famiglie sta costruendo un muro fra la stabilità economica e la precarietà bloccando il governo finché non otterrà ciò che vuole. E se dovesse abusare del potere esecutivo e dichiarare un’emergenza nazionale (sapendo che non esiste), costruirebbe realmente un muro tra il ramo esecutivo del governo e ciò che si intende per democrazia. Facciamo appello alla coscienza morale della nostra nazione affinché non permetta che ciò accada».
Anche il past. Jim Moos, che opera nel settore dei Global Ministries, ha sottolineato l’infondatezza dell’ipotesi di «emergenza nazionale per la sicurezza alle frontiere», ricordando la lunga esperienza della Ucc nel portare aiuto in situazioni di crisi, fronteggiare gravi disastri naturali sia sul territorio Usa che all’estero (per citare solo gli ultimi casi, California, Haiti e Indonesia) tramite l’apposito programma dei Disaster Ministries che con l’aiuto di volontari, organizzazioni e chiese locali porta un aiuto spirituale, materiale, psicologico ed economico alle popolazioni più vulnerabili. «Vediamo crisi reali ogni giorno: questa è una crisi costruita a tavolino, e l’amministrazione sta procedendo con una presa di potere non democratica, perché il Congresso e l’opinione pubblica rifiutano di seguire queste politiche immorali. Quello che dobbiamo fare è unirci in tutto il Paese, e alzare una voce sola, a favore di politiche per l’immigrazione rispettose della dignità delle persone».
(Photo: via Flickr)