Povertà, lettera aperta al presidente Macron
27 settembre 2018
Il pastore della Chiesa protestante di Francia Olivier Brès critica dalle colonne di "Rèforme" le parole dell'inquilino dell'Eliseo, reo a suo avviso di capovolgere i punti di vista cui guardare alle nostre società
Olivier Brès, pastore della Chiesa protestante unita di Francia (Epudf), è stato anche segretario generale della Diaconia protestante transalpina fino al 2011 e oggi è presidente del comitato nazionale della Missione popolare evangelica di Francia. E’ stato a più riprese ospite del centro ecumenico di Agape in val Germanasca.
Sul settimanale protestante francese “Réforme” ha scritto una lettera rivolta al presidente della Repubblica Emmanuel Macron per criticare l’utilizzo di alcune espressioni ricorrenti nei discorsi dell’inquilino dell’Eliseo. In particolare il riferimento è ai “primi della cordata”, metafora utilizzata per indicare chi nelle nostre società deve farsi carico di trascinare tutti gli altri verso un destino comune di benessere. Riproduciamo qui di seguito il testo che ci è parso un grido di dolore i cui contenuti possono plasmarsi su molte delle nostre società attuali.
«Monsieur le président,
basta con questa metafora del primo della cordata!
Voi dite di crederci molto e la utilizzate nel Vostro discorso sulla lotta alla povertà. Ma Voi proponete una metafora che non è affatto “viva” come diceva Paul Ricoeur (“La metafora viva” è il titolo di un saggio del 1975 del filosofo protestante Ricoeur, cui Macron è stato allievo. Con metafora viva si intende la capacità del discoro filosofico di rinnovarsi utilizzando espressioni utili a far emergere significati e aspetti nuovi della realtà, ridisegnandola, offrendo prospettive nuove, ndr). Al contrario è soltanto espressione di stereotipi e non genera alcun rinnovamento delle opinioni, dei punti di vista.
Stereotipo, l’idea che sia l’imprenditore il primo della cordata, o meglio ancora il ricco, cosa ancora peggiore e che conferma la Vostra immagine di presidente dei ricchi.
Stereotipi, l’idea che sia il ricco a fare da traino per l’intera società e che gli altri sarebbero invece un freno.
Perché, in un discorso sulla povertà, non Vi viene in mente di dire che è il povero ad esser il primo della cordata, colui che deve trovare un modo per arrampicarsi, per sostenere la famiglia, ma anche colui che obblighiamo a risalire per la parete più difficile?
O ancora, potreste considerare che ogni società è giudicata per la maniera in cui tratta i poveri. O potreste suggerire che la nostra società sopravvive a causa delle sue diseguaglianze, e del lavoro nero (o dell’accettazione della disoccupazione) dei più poveri.
E che sono i ricchi, con il loro desiderio di possedere sempre di più, a esser un peso per tutti.
Pensate forse che io mi rifiuti di capirVi? Ma ho anche ascoltato un’altra parte del vostro discorso che dice: “credo profondamente in tre progetti indissociabili: il progetto produttivo per creare posti di lavoro, un progetto educativo e un progetto solidaristico, il che significa che tutti devono considerare che una parte del nostro posto nella società è per aiutare il prossimo”. E’ la priorità economica e produttivista che vi anima. Triste rivelazione aggiuntiva della vostra sottomissione alle forze economiche che sono oggi in realtà delle forze finanziarie.
Ma ciò che mi colpisce è il vostro modo di considerare il “progetto solidaristico”. La solidarietà sarebbe un piccolo aiuto per l’altro. Ciò farebbe rivoltare nelle tombe i solidaristi del secolo scorso (Il solidarismo è una filosofia politica che ha visto nel deputato francese Léon Bourgeois uno dei massimi ispiratori a cavallo fra XIX e XX secolo. Per solidarismo si intende la responsabilità mutuale che si stabilisce fra due o più soggetti o ancora un legame fraterno che obbliga tutti gli esseri umani a muoversi gli uni verso gli altri, facendo del dovere di assistenza a chi è in difficoltà un dovere irrinunciabile, ndr).
E’ stato grazie a loro che noi riconosciamo oggi per prima cosa ciò che dobbiamo agli altri, ai contributi delle generazioni precedenti, al lavoro dei nostri contemporanei, ed è grazie a loro che sappiamo di dover organizzare un’economia più cooperativa in cui ciascuno possa trovare il proprio posto. Non era una questione di condiscendenza aiutare – un po' – l’altro.
Non utilizzate più questa metafora che aumenta le pretese dei ricchi e il disprezzo per i poveri. Cercate invece di usare nei vostri comunicati una metafora davvero “vivace” che valga per tutti.
Post scriptum
La Bibbia dice:
«Così gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi», Matteo 20, 16
«Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio» Luca 6, 20
«Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione» Luca 6, 24
Atti degli Apostoli, 4, 34-35 «Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto 35 e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno».
Rimane la domanda se vogliamo prendere sul serio questi versetti e metterli in pratica.
Ma non ascoltarli, guardare la realtà che ci circonda con un punto di vista opposto, considerare che la cosa non ci riguarda, vuol dire abbandonare la cordata alla quale Gesù ci invita e voler invece salire da soli e sempre più in alto, fino alla caduta».