Argentina. La crisi attuale è conseguenza di precise scelte economiche
18 settembre 2018
Intervista a Néstor Miguez, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Argentina
Da settimane giungono notizie di una nuova, drammatica crisi in Argentina. Il paese, che diciassette anni fa, era stato protagonista di una disastrosa bancarotta sembra precipitare nuovamente in un baratro, dopo anni di relativa tranquillità e crescita economica. Secondo quanto riportato da organi di stampa le spese per l’affitto, le bollette, la benzina sono cresciute di circa il 60% nel 2016, del 55,6% nel 2017 e nei primi sette mesi del 2018 si è già accumulato un aumento del 17,2%. Il quotidiano argentino Pagina 12 riporta i dati del rapporto dell’agenzia LatinFocus in cui si stima che quest’anno l’inflazione sarà del 40,6% e del 25,5% nel 2019. Per quanto riguarda le previsioni del PIL, si stima un calo dell’1,2. Preoccupa anche un aumento del conflitto sociale e politico. I giornali di oggi riportano l’episodio di una maestra sequestrata e torturata da una banda per il suo impegno in una mensa popolare. Abbiamo parlato con Néstor Miguez, pastore metodista, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Argentina (FAIE).
Cosa sta accadendo in Argentina negli ultimi mesi?
Ciò che sta avvenendo può essere letto da due punti di vista. Uno complesso, che ha a che vedere con le tante e differenti maniere con cui si sta smantellando lo stato sociale che era stato implementato negli ultimi anni di governo peronista (si riferisce ai governi Kirchner e Fernandez, ndr). E su questo devo fare una precisazione perché conosco l’Europa e so che il populismo è considerato come una minaccia e viene messo in relazione con formazioni politiche di destra. In America latina i governi peronisti e populisti nascono con uno sguardo privilegiato verso i temi sociali e il progressismo, e come una forma di redistribuzione della ricchezza. Potremmo immaginarli come una sorta di neo-keynesismo che si oppone al neoliberismo. Se volessimo invece dare una lettura più semplice di ciò che sta accadendo potremmo dire che l’attuale governo argentino è un governo di ricchi che agisce per conto dei ricchi, insieme ai ricchi.
Abbiamo letto di una situazione sociale che si sta inesorabilmente deteriorando; i settori più umili stanno precipitando nell’indigenza ma anche la classe media sta soffrendo l’aumento dei prezzi e la perdita di potere d’acquisto dovuta alla svalutazione della moneta.
La crisi che sta affrontando oggi l’Argentina non è una crisi naturale ma è conseguenza di precise scelte e della politica economica che ci è stata imposta con l’ultimo governo. Si è scelto di abbassare le tasse ai più ricchi per mettere al sicuro i profitti dei grandi gruppi economici e degli investitori. È stata data una fiducia ingiustificata al mercato, convinti che avrebbe trovato un suo equilibrio e dato soluzione a ogni problema. Le politiche economiche messe in campo hanno sostenuto, e perfino stimolato, la fuga di capitali che spiega la svalutazione e l’inflazione che stiamo vivendo e la perdita di potere d’acquisto dei salari. Tre anni fa gli stipendi argentini erano i più alti della regione latinoamericana, ora sono tra i più bassi. La FAIE segnala già da tempo queste criticità: un sistema di tassazione iniquo, un’arbitraria ridistribuzione delle terre che danneggia chi vive di piccola agricoltura, un potere giudiziario corrotto. Le nostre chiese predicano la giustizia e la solidarietà e questo governo ci dice che “dare da mangiare agli affamati” è un peccato.
È notizia di questi giorni che una donna è stata sequestrata da una banda illegale e torturata per il suo impegno in una mensa popolare.
È un episodio che ha suscitato in noi molta preoccupazione perché conferma quanto diciamo da tanto tempo e cioè che è impossibile implementare un programma economico di “aggiustamento strutturale” senza un aumento della repressione. Da un lato c’è la repressione ufficiale, attraverso le forze di polizia e l’esercito, che agiscono durante le manifestazioni, e dall’altra, come in questo caso, c’è l’azione di gruppi paramilitari, come già abbiamo vissuto durante l’ultima dittatura (1976-1983, ndr), che provengono dalle forze armate che agiscono in maniera illegale, o dall’uso politico di gruppi violenti legati alle tifoserie politiche o calcistiche. Sono settori che il potere utilizza quando è necessaria un’azione politica violenta.
Pochi giorni fa il governo argentino ha avuto un incontro con le chiese per chiedere un aiuto materiale per rispondere alle nuove povertà e un appoggio al dialogo per evitare l’innalzarsi dello scontro sociale. Voi avete smentito di aver partecipato a questo incontro. Cosa è avvenuto?
In realtà ci sono stati due incontri e non abbiamo partecipato a nessuno dei due. Il governo ha incontrato l’episcopato argentino con il quale ha una relazione ambigua. Da una parte si appoggia a loro quando ha bisogno di contenimento sociale e sui temi relativi alle politiche di genere; dall’altro sopporta con fastidio le affermazioni di papa Francesco quando dice che viviamo l’imposizione ad un sistema che dimentica i poveri e i migranti. L’altro incontro è avvenuto con alcuni pastori evangelici pentecostali che già da tempo hanno una relazione diretta con i partiti di governo e hanno appoggiato anche alcuni candidati durante la campagna elettorale. Questo non ci sorprende perché già accade negli Stati uniti, nella capitale dell’impero, e quindi può accadere anche qui, dove siamo una colonia. Esiste un vincolo chiaro tra la destra religiosa e alcuni settori della chiesa evangelica. Noi, come FAIE, abbiamo detto più volte che non esiste una sola voce evangelica né un solo magistero su queste questioni.
I primi di settembre l’Unicef ha fatto un appello mettendo in evidenza il pericolo che sta correndo l’infanzia argentina a causa di questa crisi. Parla di condizioni di povertà, rischio di abbandono scolastico, problemi nutrizionali e di accesso ai servizi sanitari, e di alta esposizione alla violenza. Nella vostra esperienza come chiese cosa avete sperimentato?
È esattamente quello che le nostre chiese stanno vivendo nelle zone in cui lavorano. Siamo molto preoccupati per i bambini e le bambine che subiscono due ordini di problemi. Da una parte l’aumento della povertà e il progressivo smantellamento dei servizi all’infanzia, e dall’altro la violenza istituzionale, da parte della polizia e dell’esercito, nei quartieri più poveri e marginali. Esiste una forma di discriminazione, che chiamiamo “portación de rostro”; significa che sei attaccato per il tuo aspetto. E questi bambini portano sul loro viso la loro condizione di povertà.
Come chiese in che modo intendete affrontare questa situazione?
Ciò che ci spinge ad agire, come chiese, è la compassione e l’amore per i poveri. Questa è la nostra risposta al messaggio evangelico. Vogliamo accompagnare spiritualmente il nostro popolo, installare una pastorale che recuperi la dignità delle persone, un accompagnamento nella sofferenza che non giustifichi questa condizione ma che serva a recuperare una fonte di speranza. C’è bisogno di un’etica di solidarietà basata sul comandamento dell’amore. Come FAIE, abbiamo opportunità e limiti. I limiti hanno a che vedere con la pluralità di chiese che compongono la nostra Federazione e che hanno, in alcuni casi, impostazioni teologiche differenti e che rispettiamo. Un altro limite è quello operativo giacché siamo una Federazione e quindi possiamo stimolare e proporre ma la mano operativa restano le nostre chiese sul territorio. Le opportunità hanno a che vedere con la possibilità di coordinare e condividere, informare e comunicare, e questo stiamo cercando di farlo anche al di là delle classiche forme di comunicazione finora adottate.