Diritti Lgbt in India, dopo la sentenza c’è ancora molta strada da fare
12 settembre 2018
Secondo Boris Dittrich, di Human Rights Watch, il fatto che l’omosessualità non sia più un reato «non significa necessariamente che la vita delle persone Lgbt in India cambi dal giorno alla notte»
Lo scorso 6 settembre la Corte Suprema dell’India ha stabilito che la natura di reato per le relazioni omosessuali è incostituzionale. La sentenza arriva dopo anni di battaglie per la tutela dei diritti delle persone Lgbt, fatta spesso di decisioni contrastanti tra loro che hanno impedito per anni di compiere dei veri passi avanti.
Già nel 2009 l’Alta Corte di Delhi aveva emesso una sentenza simile, ma quattro anni dopo la Corte Suprema l’aveva annullata a seguito di una petizione lanciata da una coalizione di gruppi religiosi cristiani, musulmani e induisti. Per il presidente del collegio, Dipak Misra, «criminalizzare l’omosessualità è irrazionale e indifendibile». L’articolo 377, che risaliva al periodo coloniale, stabiliva che l’omosessualità era punibile con il carcere a vita e classificava i rapporti tra persone dello stesso sesso come “rapporti contro l’ordine naturale”. «Era diventato – ha poi spiegato il giudice Misra – un’arma per la persecuzione della comunità Lgbt». In realtà, l’articolo non è quasi mai stato applicato fino in fondo, ma ha contribuito negli anni a creare una cultura di repressione e minacce nei confronti delle persone Lgbt.
Con questa sentenza, l’India diventa così il 124esimo Paese al mondo in cui i rapporti omosessuali non sono o non sono più considerati reati penali. Secondo Boris Dittrich, direttore delle campagne di advocacy per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender di Human Rights Watch, si tratta di «un’importante vittoria per le persone Lgbt e per i loro alleati», anche se «la strada da fare sia ancora lunga».
Qual è la portata di questa sentenza?
«Siccome l’India è un Paese così importante, con il suo miliardo e 300 milioni di abitanti, significa che avrà moltissima influenza su altri Paesi. Questo è vero soprattutto in Asia, ma direi che si può estendere anche ad altri Paesi, perché l’India è stata una colonia britannica. La legge che oggi è considerata incostituzionale, l’Articolo 377, era un relitto dell’Impero britannico, ma in altre parti del mondo, come nei Caraibi, ci sono diversi Paesi in cui è ancora in vigore. L’influenza della decisione Corte Suprema indiana potrebbe sentirsi per esempio proprio nei Caraibi».
Il fatto che l’omosessualità in India non possa più essere considerato un reato non risolve automaticamente tutti i problemi delle persone Lgbt nel Paese. Oggi quali possono essere ritenuti i nodi principali della loro condizione? Si sente spesso di episodi di violenza, ma credo non ci si debba limitare a quello.
«Naturalmente stiamo parlando soltanto della legge, e il fatto che ora l’Articolo 377 sia stato giudicato incostituzionale non significa necessariamente che la vita delle persone Lgbt in India cambi dal giorno alla notte. Questo significa che gli attivisti e le organizzazioni Lgbt devono premere per l’accettazione sociale, ma questo naturalmente richiede molta educazione, molta informazione verso il pubblico, perché per più di 100 anni si sono considerate le persone Lgbt come cittadini di seconda categoria, facili da ricattare e da escludere. Ora all’improvviso invece devono essere trattati da pari, con dignità e rispetto, e questo richiede moltissime azioni da parte degli attivisti. Quando scorriamo la lista che gli attivisti indiani hanno pubblicato e che contiene i loro obiettivi, vediamo che uno dei punti centrali è la richiesta di una buona legge antidiscriminazioni, che faccia capire alle persone che non è permesso discriminare le persone in base al loro orientamento sessuale o alla loro identità di genere. Un altro punto molto importante della loro lista dei desideri è il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Gli attivisti chiedono che le loro relazioni vengano riconosciute dalla legge e preferibilmente che lo siano attraverso il matrimonio. Questi sono temi con cui tutte le società si confrontano e sono senza dubbio i più importanti per gli attivisti indiani».
Lei crede che la politica indiana, e in particolare il premier, Narendra Modi, sarà pronta a dare seguito a questi obiettivi?
«Credo sarà un processo lungo, difficile e complicato, perché quando Modi e il suo partito sono stati interpellati dalla Corte Suprema, che chiedeva quale fosse la sua posizione, la risposta è stata che il governo non avrebbe interferito, quindi non avrebbe né supportato né contrastato la legge, lasciando libertà alla corte. Diciamo che questa attitudine ci fa capire che non c’è un sostegno attivo alle persone Lgbt, quindi quando si chiedono norme antidiscriminazione e il matrimonio tra persone dello stesso sesso di sicuro non mi aspetto che questo governo conservatore tutto d’un tratto dica “facciamolo”. Insomma, credo che per gli attivisti in India la strada da fare sia ancora lunga, e come Human Rights Watch forniremo loro il massimo supporto internazionale».