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Proactiva Open Arms verso Gibilterra

La decisione dell’ong arriva alla fine di un’estate in cui la rotta del Mediterraneo centrale è stata svuotata. Riccardo Gatti, capomissione: «non ci fermiamo»

L’estate del 2018 nel Mediterraneo è stata caratterizzata da un sempre più marcato svuotamento, ancora più radicale rispetto a quello della seconda parte del 2017. A causa del disimpegno del governo maltese, della politica di chiusura portata avanti dall’Italia e da un clima generale di ostilità nei confronti dei salvataggi in mare, una dopo l’altra le organizzazioni non governative impegnate nel soccorso ai migranti nel Mediterraneo centrale hanno lasciato la zona di ricerca e soccorso. Con la nave Aquarius di Sos Mediterranée bloccata nel porto di Marsiglia, rimaneva soltanto Open Arms, ferma però nel porto di Barcellona. Ora, invece, l’ong spagnola entrerà a far parte dei mezzi di ricerca e soccorso nell’area tra lo Stretto di Gibilterra e il Mare di Alboràn, sotto il coordinamento del Salvamento Marìtimo, l’equivalente spagnolo della Guardia costiera italiana. 
Un passo indietro, dunque? In realtà, secondo Riccardo Gatti, capomissione di Proactiva Open Arms, «non ci fermiamo. Continuiamo le nostre operazioni e a livello temporaneo e momentaneo ci spostiamo nel Mediterraneo occidentale con l’intenzione di tornare il prima possibile nel Mediterraneo centrale. Tra l’altro abbiamo anche il veliero Astral, che ha sempre operato in operazioni di osservazione e denuncia di ciò che succede nel Mediterraneo Centrale e la nostra intenzione è continuare a utilizzarlo».

Come si è arrivati a questa decisione? Quali difficoltà l’hanno dettata?
«Le difficoltà sono state molteplici, l’abbiamo sempre denunciato. Ci hanno sparato, hanno inventato falsità sia sui media sia anche a livello della magistratura, ci hanno bloccato nei porti, ci hanno chiusi fuori dai porti. A noi e a tutte le altre Ong. Tutto ciò ha delle conseguenze a livello logistico ed economico, soprattutto per organizzazioni piccole come la nostra, che funzionano per il 90% con donazioni private. Mentre siamo fermi qui in Spagna abbiamo visto che la chiusura e le difficoltà per la partenza dalla Libia hanno fatto sì che aumentassero gli arrivi nella frontiera sud spagnola. Allora ci siamo diretti lì».

In questi mesi la Spagna è diventata la prima porta d’ingresso in Europa. Qui è ancora possibile operare?
«Sì, perché siamo già in contatto con il Salvamento Marìtimo qua in Spagna nella stessa maniera in cui siamo stati in contatto con la Guardia Costiera italiana, con cui abbiamo operato in modo soddisfacente e ad alto livello fino a circa un anno e mezzo fa. In Spagna si farà una sorta di fotocopia di come si è lavorato nel Mediterraneo Centrale, con difficoltà minori dovute anche al fatto che le distanze sono minori tra Marocco e Spagna».

Che cosa rimarrà di questa stagione quando tra qualche anno ci guarderemo indietro?
«Rimarrà la dimostrazione di atteggiamenti vergognosi da parte dell’Unione europea e tante azioni volte a cercare di far sparire degli attori scomodi quali sono stati le Ong. Non solo si faceva soccorso in mare, ma si denunciava e si continua a denunciare ciò che sta succedendo in Libia come ciò che sta succedendo in mare e sarà la dimostrazione di come gli altri interessi a livello politico ed economico che non mettono al centro l’essere umano hanno cercato di frenare quegli atteggiamenti o quelle attitudini di reciprocità umana messe in atto nei confronti delle persone bisognose».

Quando si ripartirà?
«Dobbiamo organizzarci, ma con l’Astral partiremo il prima possibile per andare nel Mediterraneo Centrale. A livello operativo i salvataggi sono molto difficili, ma dobbiamo fare un lavoro di testimonianza e sorveglianza. Pensiamo all’Asso28 o a Pharos5, sono violazioni dei diritti che, se non c’è nessuno, non possono essere visti e segnalati. Torneremo appena possibile».

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