Trincee nella foresta
24 maggio 2018
Una nuova escalation ha segnato il mese di maggio negli Stati Shan e Kachin, nel nord del Myanmar, dove vive una minoranza protestante che vuole l’indipendenza
All’inizio di maggio Yanghee Lee, l’inviata speciale delle Nazioni Unite per la situazione dei diritti umani in Myanmar, l’ex Birmania, ha lanciato l’allarme per una nuova escalation di violenze in corso nel nord del Paese. In questa zona si fronteggiano da decenni l’esercito regolare birmano e il Kachin Independence Army (Kia), l’esercito indipendentista della popolazione Kachin. Ma di che popolazione si tratta? Stiamo parlando di una minoranza etnica di religione cristiana, soprattutto di fede battista, che al suo interno conta anche una componente cattolica.
Secondo il rapporto presentato dalle Nazioni Unite, molti civili sono stati uccisi e migliaia di persone hanno dovuto lasciare le proprie case a causa dei bombardamenti compiuti dalle forze governative. «Ciò che stiamo vedendo nelle ultime settimane nello Stato Kachin – ha dichiarato Yanghee Lee – è totalmente inaccettabile e dev’essere fermato immediatamente. I civili non devono mai essere soggetti a violenza durante un conflitto. Tutte le fazioni devono assumere le misure necessarie per assicurare loro sicurezza e protezione».
Già a marzo, a Ginevra, Lee aveva fatto presente allo Human Rights Council che mentre l’attenzione di tutto il mondo era focalizzata sullo stato Rakhine e sugli abusi contro la minoranza musulmana dei Rohingya, la violenza stava crescendo in altre aree del Paese. Nelle ultime settimane, sono circa 5.000 i civili che hanno dovuto lasciare i villaggi lungo il confine con la Cina, aggiungendosi agli oltre 300.000 sfollati interni causati da questa guerra.
Chi sono le parti in causa
Il conflitto tra il Kia e lo stato centrale birmano dura praticamente dalla fine dell’occupazione britannica nel 1947 e la minoranza etnica non partecipa ai colloqui di pace che vedono invece coinvolte altre minoranze. Il fatto è che le istanze politiche delle due parti in causa sono quasi inconciliabili: i Kachin, infatti, vorrebbero una forte autonomia basata su un modello federale o confederale, mentre i governi che si sono succeduti nei 70 anni di storia della Birmania post-coloniale hanno sempre posto come precondizione di qualunque discussione il disarmo del Kia.
Anche per l’attuale governo del Myanmar, il primo civile dopo la lunga fase delle giunte militari, l’idea è che il Kia diventi una specie di corpo di guardia di frontiera sotto il controllo del Tatmadaw, l’esercito regolare birmano. Per contro, i Kachin rifiutano totalmente questa soluzione. «Molto semplicemente – racconta il giornalista Gabriele Battaglia, corrispondente da Pechino per la Radiotelevisione svizzera italiana e collaboratore di Radio Beckwith Evangelica – non si sentono birmani. Sono stato lì nel 2014 e ricordo che in tutte le interviste si parlava di un “noi” e di un “loro”, anche perché lo Stato birmano è un’invenzione relativamente recente».
Anche questa nuova fase del conflitto è piuttosto recente: la guerra, infatti, è stata sospesa per 17 anni grazie all’armistizio del 1994, ma nel 2011 è ricominciata a bassa intensità. Oggi, i Kachin conservano una striscia di terra appiattita lungo il confine cinese fatta di foreste e colline, in un contesto molto favorevole alla guerriglia. All’interno di questa piccola porzione di territorio si trovano due centri principali, Laiza e Myitkyina, controllati dal Kia e dal Kio. «Quel che succede di solito – prosegue Battaglia – è che i Kachin hanno questi avamposti nella foresta, delle specie di trincee, che spesso per mesi e mesi fronteggiano le trincee dell’esercito regolare birmano senza che nulla accada, un po’ come da noi sul Carso durante la prima guerra mondiale. Ogni tanto questi avamposti vengono attaccati dall’esercito regolare. I Kachin in genere combattono, a volte si ritirano semplicemente, e allora l’esercito regolare occupa questi avamposti, poi se ne va e i Kachin ritornano e rioccupano questi avamposti». Il tutto potrebbe sembrare quasi un teatrino, se non fosse che quando si parla di quest’area va ricordato che si tratta di una delle zone più minate del pianeta, con un’incidenza di mutilazioni e forme di disabilità causate dalle mine molto superiore alla media. «Spesso – racconta ancora Battaglia – le persone saltano sulle mine che loro stessi avevano messo e poi si erano dimenticati di togliere».
Bassa intensità, grandi danni
Il conflitto tra i separatisti Kachin e lo Stato birmano viene spesso definito “a bassa intensità”. Eppure, bassa intensità non significa basso livello di danno: dalla ripresa delle ostilità nel 2011 sono almeno 300.000 i profughi, principalmente fuggiti in Cina, e gli sfollati interni presenti nei campi temporanei allestiti sia nella zona controllata dal governo centrale sia in quella Kachin. Si tratta insomma di una guerra che prende il peggio di ogni epoca bellica: a differenza dei conflitti di trincea europei di inizio Novecento, in questa guerra di logoramento sono ancora una volta i civili a pagare il prezzo più alto.
Cristiani nella foresta
Ma come mai in questa striscia di terra è presente una maggioranza cristiana, principalmente di confessione battista? Anche questa, proprio come la Birmania, è un’acquisizione recente: fino alla fine dell’Ottocento, infatti, i Kachin praticavano religioni tradizionali, animiste, ma alla fine del XIX secolo alcuni missionari americani, battisti, che venivano dall’India, allora colonia britannica, si recarono in quella zona e cominciarono un’operazione di evangelizzazione. Tra i maggiori protagonisti di questa azione va citata una coppia, gli Hanson: arrivati in questa striscia di territorio verso la fine dell’Ottocento, si stabilirono lì, provvedendo anche alla prima traduzione della Bibbia in lingua Kachin. Da più di un secolo, ormai, i Kachin sono in maggioranza cristiani e hanno fatto di questa appartenenza religiosa una parte della propria identità, anche, o forse soprattutto, in contrapposizione a quella della maggioranza birmana Bamar, che invece è buddhista.
Tuttavia, anche se l’identità cristiana è fondante dell’identità Kachin, sarebbe sbagliato utilizzare per questa guerra la chiave interpretativa delle persecuzioni anticristiane: i Kachin, infatti, non sono in guerra con lo Stato birmano in quanto cristiani, ma in quanto minoranza che vuole una fortissima autonomia, se non una vera e propria indipendenza, dallo Stato birmano.
Il triangolo d’oro
La striscia di terra che i Kachin rivendicano come il propria patria non è soltanto un’anomalia per l’appartenenza religiosa, ma è anche compresa all’interno del cosiddetto “triangolo d’oro”, uno dei principali centri al mondo per la coltivazione dell’oppio e per la produzione di eroina. Fino a qualche decennio fa era il polo principale a livello globale, poi spodestato dalla “mezzaluna d’oro” afghana. «Qui – racconta Battaglia – una dose di eroina costa 5 renmimbi, meno di un euro, ed è stimato che circa la metà della popolazione Kachin sia tossicodipendente». Si dice che le cause siano la durezza della vita nelle trincee e la facilità del consumo, ma a preoccupare sono soprattutto le conseguenze: molto spesso ci sono persone che saltano sulle mine perché, sotto l’effetto dell’eroina, dimenticano di vivere in un’area completamente minata, molto spesso da loro stessi.
Tuttavia, per i Kachin la piaga dell’eroina si può combattere e la scelta è quella di farlo con metodi drastici, da esercito. In particolare, la leadership locale ha istituito dei centri di rieducazione in cui vengono rinchiusi tutti coloro che vengono trovati sotto effetto di stupefacenti oppure ritenuti colpevoli di spaccio. «Ho visitato uno di questi centri – ricorda Battaglia, che a questa zona ha dedicato anche il libro Fucili contro Burma – e sono sostanzialmente delle specie di lager, sono delle prigioni a tutti gli effetti, con celle di una ventina di metri quadri in cui stanno 12 persone tutte insieme su materassini stesi al suolo. Vi lascio immaginare le condizioni igieniche». All’interno di questi centri la strategia adottata prevede la reclusione, la somministrazione di medicinali come palliativo, la preghiera e lo studio della Bibbia come strumento di allontanamento dalle droghe.
Un luogo, questo, sospeso tra Cina e Myanmar e costellato di trincee e di mine, ma anche uno spazio di grandi contrasti: «A pochi metri di distanza dalle trincee – conclude Gabriele Battaglia – c’è la grande Cina con strade normali, c’è la costante presenza di merci cinesi e c’è addirittura un grande campo da golf gestito dal Kia, dedicato al relax dei comandanti dell’esercito indipendentista quando non sono operativi».