Le responsabilità dei cristiani di fronte agli ebrei
28 luglio 2017
La «Conferenza di Seelisberg» (1947) avviò una nuova stagione di rapporti
Settant’anni orsono, nell’estate del 1947, dal 30 luglio al 5 agosto, a Seelisberg, in Svizzera, si incontrarono un centinaio di delegati provenienti da 19 paesi, personalità del mondo della cultura e rappresentanti di Chiese: cattolici, protestanti, ebrei. Fra i cristiani vi erano anche due osservatori del Vaticano e altri di quello che sarebbe diventato il Consiglio ecumenico delle Chiese. Nelle intenzioni dei promotori, fra cui è doveroso ricordare lo storico Jules Isaac (1877-1963), il rabbino Jacob Kaplan il filosofo Jacques Maritain, la Conferenza (Conférence d’urgence contre l’antisémitisme) doveva costituire un cambiamento radicale di atteggiamento delle Chiese cristiane rispetto all’insegnamento tradizionale sull’ebraismo e sugli ebrei, caratterizzato dal «disprezzo».
Si trattava di mettere i cristiani di tutte le confessioni di fronte alle proprie responsabilità e di chiedere loro un’inversione di rotta/ cambiamento deciso (in ebraico Teshuvà) nell’insegnamento e nella catechesi. Per la prima volta a livello di una Conferenza internazionale, che si teneva in Europa, la questione ebraica veniva considerata nella prospettiva giusta: non sono gli ebrei a essere un problema, ma è l’odio contro di loro che va denunciato e combattuto. Ai partecipanti venne distribuito un dossier informativo che documentava in modo dettagliato la condizione degli ebrei nei vari paesi europei, il loro rapporto con le istituzioni, la posizione del governo, delle chiese protestanti e cattoliche sugli ebrei, le tendenze antisemitiche palesi e latenti nei loro confronti e le proposte pratiche contro l’antisemitismo.
La terza Commissione, composta esclusivamente da cristiani (cinque per la precisione), esaminò le 18 preposizioni preparate da Jules Isaac per respingere lʼantisemitismo e le discusse via, via con la delegazione ebraica. Il risultato fu la Dichiarazione conosciuta come i 10 punti di Seelisberg. Il documento inizia con un appello indirizzato alle chiese, cui segue l’enunciazione di quattro «punti» da ricordare e sei da evitare, principalmente nell’insegnamento e nella predicazione, per poi chiudersi con due suggerimenti. Tale Dichiarazione costituisce una pietra miliare nelle relazioni delle chiese con l’ebraismo e rappresenta un punto di partenza da cui le successive dichiarazioni presero l’avvio. Nella Conferenza ci fu anche il debutto dell’Associazione internazionale delle Amicizie ebraico-cristiane , che assunsero come base i 10 punti.
I dieci punti di Seelisberg
1) Ricordare che è lo stesso Dio vivente che parla a tutti nell’Antico come nel Nuovo testamento.
2) Ricordare che Gesù è nato da una madre ebrea della razza di Davide e del popolo di Israele e che il suo amore eterno e il suo perdono abbracciano il suo popolo e tutta l’umanità.
3) Ricordare che i primi discepoli, gli apostoli e i primi martiri erano ebrei.
4) Ricordare che il precetto fondamentale del Cristianesimo, quello dell’amore di Dio e del prossimo, già promulgato nell’Antico Testamento e confermato da Gesù, obbliga cristiani ed ebrei in tutte le relazioni umane senza alcuna eccezione.
5) Evitare di denigrare l’ebraismo biblico o post-biblico allo scopo di esaltare il Cristianesimo.
6) Evitare di usare la parola «ebrei» nel senso esclusivo di «nemici di Gesù» o l’espressione «nemici di Gesù» per designare il popolo ebraico tutto quanto.
7) Evitare di presentare la Passione in modo tale che quanto vi è di odioso per la condanna a morte di Gesù ricada su tutti gli ebrei o soltanto su di loro. Non sono stati infatti tutti gli ebrei che hanno reclamato la morte di Gesù. Non sono loro soltanto a essere responsabili, poiché la croce che ci salva tutti rivela che il Cristo è morto a causa dei peccati di noi tutti. Ricordare a tutti i genitori e a tutti gli educatori cristiani la grave responsabilità che si assumono presentando in modo semplicistica il Vangelo e in particolare il racconto della Passione. Così facendo rischiamo, lo vogliamo o no, d’ispirare dell’avversione nella coscienza o nel subcosciente dei loro figli o degli ascoltatori. Psicologicamente parlando, nelle anime semplici, pervase da un amore ardente e da una viva compassione per il Salvatore crocifisso, l’orrore che esse risentono, com’è naturale, per i persecutori di Gesù, si tramuterà facilmente in odio generalizzato per gli ebrei di tutti i tempi, compresi quelli del giorno d’oggi.
8) Evitare di riferire le maledizioni della Scrittura e il grido d’una folla inferocita: «il suo sangue ricada su di noi e suoi i nostri figli!» senza ricordare che questo grido non può aver il sopravvento sulla preghiera infinitamente più alta di Gesù: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
9) Evitare di dar credito all’empia opinione secondo la quale il popolo ebraico è condannato, maledetto, riservato a un destino di sofferenze.
10) Evitare di parlare degli ebrei come se non fossero stati i primi ad appartenere alla Chiesa.