Il ricollocamento rifugiati dell’Ue funziona?
16 settembre 2016
Gori: «Ad un anno dall’inizio del piano biennale europeo di ricollocamento il fallimento è impietosamente evidente»
Un anno fa l’Unione Europea e gli Stati membri avevano concordato un piano biennale per il ricollocamento di 160mila richiedenti asilo, principalmente dalla Grecia e dall’Italia verso altri paesi Europei.
Tuttavia, il numero dei posti messi a disposizione continua ad essere del tutto inadeguato e l’attuazione del programma è per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr): inutilmente lenta e difficoltosa.
L’Unhcr ha chiesto – attraverso un comunicato e dati diffusi ieri – agli Stati di aumentare il proprio impegno: «anche in favore dei minori non accompagnati e separati, velocizzando le procedure di registrazione e trasferimento dei candidati e aprendo il programma ad ulteriori nazionalità in fuga da guerre e persecuzioni».
Abbiamo chiesto un commento su quanto emerso dai dati Unhcr a Giulia Gori, responsabile del «coordinamento accoglienza» di Mediterranean Hope (Mh) progetto della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) per l’accoglienza e l’accompagnamento di rifugiati e richiedenti asilo che prevede un Osservatorio sul Mediterraneo a Lampedusa, una Casa delle culture (e di accoglienza) a Scicli e il progetto pilota in Europa dei «Corridoi umanitari» realizzato insieme alla Comunità di sant’Egidio e il sostegno dei fondi otto per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi.
«Ad un anno dall’inizio del piano biennale europeo di ricollocamento – ha confermato Gori –, il fallimento di questo meccanismo redistributivo è impietosamente evidente. Secondo i dati forniti dall’Unhcr, all’interno del programma sono stati fino ad ora rilocati solamente 4.776 richiedenti asilo, (3.712 dalla Grecia e 1.064 dall’Italia) mentre, secondo i calcoli della Commissione, sarebbero dovute essere state rilocate 6.000 persone ogni mese. L’adesione al programma degli Stati membri è stata estremamente scarsa. Alcuni paesi, come l’Austria, la Croazia, l’Ungheria, la Polonia e la Slovacchia, non hanno messo a disposizione alcun posto. Sette Stati membri (il Belgio, la Bulgaria, la Repubblica Ceca, la Germania, la Lituania, la Romania e la Spagna) hanno ricollocato solo l’1% della loro quota. Solo quattro paesi (la Finlandia, il Lussemburgo, Malta e il Portogallo) hanno coperto più del 10% delle loro quote.
È evidente – prosegue Giulia Gori – che il sostanziale fallimento del meccanismo di redistribuzione della “relocation”, particolarmente cocente nel nostro paese, ha messo l’Italia in una situazione assai scomoda. Se, infatti, l’approccio hotspot e l’intervento delle agenzie europee, ha portato ad un aumento delle identificazioni e, conseguentemente, delle domande di protezione internazionale, a ciò non è seguita un’effettiva redistribuzione dei richiedenti asilo verso altri paesi. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, infatti, nel 2016, in Italia sono state presentate 72.470 richieste di asilo, il 53% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. È palese come, in mancanza di un’equa distribuzione dell’onere di accoglienza tra gli altri Stati membri, l’approccio hotspot abbia pesanti conseguenze sul sistema di asilo e di accoglienza italiano».
L’effettivo funzionamento del programma di ricollocamento è cruciale per aumentare la solidarietà e la condivisione di responsabilità in Europa e per garantire una migliore gestione dei flussi migratori per affrontare i movimenti secondari irregolari e combattere la dipendenza dai trafficanti.
«Il meccanismo di ricollocamento – ha concluso Gori –, benché in principio rappresenti comunque una prima deroga al Regolamento Dublino e un primo passo verso l’attuazione del principio di solidarietà intra-Ue sancito dal Trattato di funzionamento dell’Unione europea (Tfue), continua ad attribuire un peso irrisorio alla volontà del richiedente asilo al quale non viene riconosciuto il diritto ad essere trasferito in un paese di preferenza, tenendo conto, ad esempio, dei legami familiari o culturali. Come già nel Sistema Dublino, il richiedente è essenzialmente un oggetto, non un soggetto del procedimento di ricollocamento».
L’Unhcr ricorda che dall’ Italia, sono stati ricollocati 1.064 richiedenti asilo in 16 paesi, a fronte dei 2.809 posti resi disponibili finora. Rispetto agli altri anni sono molte di più le persone rimaste in Italia: «a causa dell’aumento dei controlli di frontiera nelle zone settentrionali del paese».
Il numero di nuove richieste di asilo in Italia è aumentato del 53% (72.470) rispetto allo stesso periodo del 2015 (47.428).
Tale situazione ha rallentato il sistema di accoglienza e di asilo del paese: gesti di solidarietà, esami più velici delle pratiche e il trasferimento dei candidati al programma di ricollocamento, prosegue l’Unhcr, sono più che mai necessari.