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Xavier Paillard: «Il Sinodo un'occasione unica per tenere vivo il dialogo»

Con il presidente del consiglio sinodale della Chiesa riformata del Vaud ragioniamo sulla salute delle comunità riformate della Svizzera romanda

Xavier Paillard, presidente della Conferenza delle chiese riformate della Svizzera romanda e presidente del Consiglio sinodale della Chiesa evangelica riformata del cantone di Vaud (Eerv) è alla personale quarta visita al Sinodo di Torre Pellice, «un'occasione sempre molto importante per incontrarsi, come facciamo ad esempio durante le riunioni della Cepple, per tenere vivo il dialogo e valorizzare le relazioni fra le chiese in Europa. A ciò si aggiunga che per la prima volta, in questi ultimi anni la nostra chiesa riformata non è più maggioranza nel cantone, essendo passata da circa l'80% di fedeli di 50 anni fa al 30% di oggi; siamo qui per imparare a svolgere al meglio il nostro ruolo di minoranza, e la Chiesa valdese ha secoli di storia e tenacia nella fede da insegnare al mondo».

Proprio 50 anni fa, nel 1966, dalla fusione di Chiesa libera e Chiesa nazionale nasceva l'Eerv, e l'importante anniversario è occasione per una riflessione sulla strada fatta, ma soprattutto su quella da fare: «Intanto all'epoca, da un punto di vista teologico, alla maggioranza dei nostri membri di chiesa è parso di integrare la prima, minoritaria, nella seconda, di maggioranza. Passata molta acqua sotto i ponti oggi l'Eerv è probabilmente più vicina alla concezione di Chiesa libera rispetto a un tempo. Inoltre la nostra era la sola Chiesa universalmente riconosciuta a livello cantonale, status che dal 2003 condividiamo con quella cattolica, con tutti gli onori e gli oneri che ciò comporta. Il più importante dono di questo novità politica è legato all'ecumenismo, al dialogo interreligioso, argomento di discussione anche nel vostro Sinodo e che da noi è prassi consolidata, condivisa nei fatti. Ogni settimana incontro il vicario episcopale perché tutti i progetti pubblici delle nostre due confessioni sono svolte insieme, dalle cappellanie alle questioni finanziarie e immobiliari, a molto altro. Diciamo che a fianco di questa reciproca riconoscibilità politica sarebbe bello che il mondo cattolico accettasse finalmente la nostra legittimità teologica e apostolica, per completare veramente il percorso ecumenico».

Anche la Svizzera non è immune dalla grande emergenza dei nostri tempi, quella del flusso di profughi che da Medio Oriente e Africa cerca il passaggio in Europa, con la decisiva differenza rispetto al nostro Paese di esenzione dall'obbligo di identificazione dello straniero nella prima nazione di arrivo, che certo non può essere il territorio elvetico: «ciò fa si che la politica si trinceri dietro le norme esistenti, limitandosi quindi a respingere le donne e gli uomini intercettati. Sono comunque ben 40 mila le straniere e gli stranieri in Svizzera, detenuti in centri di registrazione in attesa di capire se la loro domanda di asilo verrà accolta, con una stragrande maggioranza di risposte contrarie. La gestione della questione è statale, e poco spazio rimane per gli altri attori, chiese comprese. Questo per lo meno a livello pratico, fattuale, mentre di più possiamo fare per insistere presso le istituzioni cantonali perché la gestione del fenomeno sia umana, accogliente, attenta. Abbiamo una responsabilità individuale, ma anche come chiesa, nei confronti del mondo, della società. Contro gli integralismi, contro i messaggi di rifiuto noi come riformati dobbiamo e possiamo dire e fare di più».

Alle polemiche legate all'occupazione del Concistoro della chiesa di Saint-Laurent a Losanna da parte di un gruppo di migranti, terminata con la richiesta del Consiglio sinodale di sgomberare i locali, con annesse polemiche divampate per la poco caritatevole ospitalità, Paillard replica che «la situazione è stata strumentalizzata. Certamente abbiamo fra i nostri principi cardine quello dell'accoglienza del prossimo, ma in questo caso l'azione è stata forzata da un gruppo politico che ha indotto i ragazzi all'occupazione per fare di loro un emblema delle difficoltà di gestione della questione rifugiati. Le nostre azioni in tal campo devono essere dettate da imparzialità e devono essere pianificate e inserite in un progetto. Questa era solo una forzatura che abbiamo chiesto di interrompere, riservandoci altre modalità per seguire il destino di queste persone».

Abbiamo assistito in questi mesi ad una profonda riorganizzazione dei prodotti editoriali svizzeri del mondo protestante, fra ottobre e novembre vedrà la luce il nuovo giornale “Réformé”, frutto della concentrazione in un'unica testata delle varie edizioni locali precedenti: un passo in avanti?

«Direi di si. Ogni chiesa cantonale fino ad oggi disponeva di una propria pubblicazione. Il nuovo prodotto settimanale conterà 40 pagine, ripartite fra 25 con notizie in comune e 15 regionali. Saranno ben 14 edizioni differenti, 11 per il Vaud, 1 per il Berna-Jura, 1 per Neuchatel e 1 per Ginevra. Anche sul fronte occupazione siamo riusciti a salvaguardare le professionalità acquisite. Il risparmio sta soprattutto nella concentrazione in una sola sede di tutte le attività editoriali che fino ad oggi erano sparse sul territorio».

Negli ultimi mesi l'Eerv ha fatto molto parlare di sé anche per quelli che sono stati definiti “licenziamenti facili” di ben 5 pastori, con tutto il corollario di polemiche che hanno investito Paillard, accusato di decisionismo autoritario. Paillard non si riconosce in tale descrizione e motiva le scelte con «una necessità di tenere dritta la barra ecclesiale e sociale della nostra chiesa. Un tempo i pastori erano pagati dallo Stato, oggi lo sono dalle chiese, e a mio avviso ciò comporta una serie di oneri che alcuni tendono a non riconoscere o applicare, creando in questo modo difficoltà all'intera comunità. Da qui queste sofferte decisioni. Stiamo creando una commissione ad hoc che avrà il compito di vigilare su simili questioni, fungendo da cuscinetto nel tentativo di evitare ovviamente di dover giungere ad una soluzione finale di licenziamento, scelta per noi sempre molto difficile».