A rischio in Russia l'espressione della propria fede in nome della sicurezza
Limitare la libertà religiosa è il modo più efficace per comprimere la libertà di coscienza. Intervista a Davide Romano e Dora Bognandi
Fonte: Notizie Avventiste
Una settimana fa gli avventisti della Russia, così come esponenti di varie denominazioni del paese, hanno dedicato una giornata alla preghiera e al digiuno e hanno inviato un appello al presidente Putin per chiedergli di non firmare e quindi non rendere definitiva una legge che limiterebbe la libertà di espressione religiosa in casa, nelle zone residenziali, ma anche su Internet e sui social network. Il progetto di legge è stato inserito piuttosto frettolosamente in un pacchetto di provvedimenti antiterrorismo e di sicurezza nel paese, che è stato già approvato da camera e senato.
Su quanto sta accadendo in Russia e sulla situazione della libertà religiosa in quella parte dell’Europa, abbiamo rivolto alcune domande a Davide Romano e Dora Bognandi, rispettivamente direttore e direttore associato del dipartimento Affari pubblici e Libertà religiosa della Chiesa cristiana avventista in Italia.
In Russia sta per essere approvata in via definitiva una legge che limita l’attività missionaria dei credenti e quindi la libertà religiosa. Questa legge è stata inserita all’interno del pacchetto sicurezza e antiterrorismo. Perché la necessità di garantire la sicurezza porta spesso a limitare la libertà religiosa?
Davide Romano: «Fondamentalmente per due motivi, entrambi molto discutibili e tuttavia non privi di una certa logica. Il primo motivo è che spesso, come accade ai nostri giorni, in molte parti del mondo il terrorismo si ammanta di parvenze religiose e si nutre grossolanamente di ideologie religiose. Il secondo motivo è che limitare la libertà religiosa è il modo più efficace per comprimere la libertà di coscienza, dunque la libertà tout court.
La Russia purtroppo non è nuova a queste torsioni liberticide, nonostante la notevole carta Costituzionale che si è data nel 1993».
Qual è la situazione della libertà religiosa in Europa e in particolare nell’Europa dell’Est?
D. R.: «Russia e Turchia a parte, destano diverse preoccupazioni l’Ungheria e la Polonia. In questi due paesi, governi di chiara ispirazione nazionalista hanno ristretto il perimetro delle libertà civili e messo sotto schiaffo le minoranze linguistiche e religiose. La libertà di informazione è fortemente assoggettata ai governi. In Ungheria molte chiese che fino a pochi anni fa erano riconosciute come tali, oggi non lo sono più, in ragione del mancato accoglimento della loro richiesta ad ottenere la registrazione secondo la rigida normativa introdotta nel 2012. La Commissione europea è già opportunamente intervenuta con formali richiami nei confronti di entrambi i governi affinché lo stato di diritto non venga alterato e vengano altresì preservate le prerogative degli organi che esercitano lo scrutinio di costituzionalità. Ma la situazione rimane molto delicata».
Qualcuno ha detto che la libertà religiosa è la cartina al tornasole di tutte le altre libertà di un paese. È così?
Dora Bognandi: «Questo è un concetto che per noi occidentali ha senso e logica. La coscienza è quanto di più profondo e inviolabile vi sia in un individuo; riconoscendo i suoi diritti, tutte le altre cose verranno di conseguenza. Vorrei però evidenziare un concetto che non si riprende a sufficienza, cioè che la libertà non la si dovrebbe concedere, ma solo riconoscere, perché ogni individuo è portatore di alcune prerogative in virtù del fatto di essere uomo/donna, persona creata a immagine di Dio. Infatti, ogni essere umano “nasce” libero e non dovrebbe esserci bisogno che qualcuno gli “conceda” la libertà. Purtroppo, sappiamo che le cose non vanno in questo modo. Un’altra cosa di cui bisogna tener conto è che la nostra concezione occidentale non è condivisa da tutti. In moltissimi paesi, e in particolare in quelli di fede islamica, il concetto di libertà religiosa è diverso: l’accento non è posto sui diritti dell’individuo, ma su quelli della comunità. Questo purtroppo non lascia molto spazio alla diversità, ma piuttosto all’omologazione. Non dobbiamo però tanto meravigliarci perché anche il cristianesimo, per molti secoli, ha sostenuto la stessa cosa e ha considerato eretico e traditore il credente con idee anche leggermente diverse dalla maggioranza».
Che cosa possono fare le chiese per far capire di essere portatrici di pace e costruttrici di ponti?
D. B.: «Prima di far capire agli altri di essere portatrici di pace, le chiese dovrebbero essere intrinsecamente convinte che uno dei pilastri della loro professione di fede dovrebbe essere quello di vivere la pace. Ma non è una cosa scontata. Talvolta le dichiarazioni ufficiali non corrispondono alla pratica e si tollerano troppo facilmente atteggiamenti e individui dubbi o violenti. Ogni religione dice di ispirarsi alla pace, ma il modo di concepirla e di declinarla varia, e molto. La pax romana che cosa era se non la conseguenza di conquiste e di massacri? Allora si insediava la “pax”, che altro non era se non il frutto di carneficine e della conseguente debolezza dei vinti. Questa è una tentazione in cui possono cadere anche le religioni, soprattutto quelle di maggioranza: per una fede religiosa avere pace potrebbe significare costringere tutti a pensare nello stesso modo, senza ammettere alcun tipo di contestazione. Per noi cristiani, la pace non è un concetto inventato dai fedeli. Gesù diceva: “Vi do la mia pace, non come quella che il mondo vi dà”. La sua è una pace frutto di perdono, misericordia, giustizia, solidarietà, ricerca del bene altrui, costruzione di ponti. Purtroppo non sempre le religioni costruiscono ponti con gli altri, convinte come sono di possedere ciascuna “la” verità e di considerare tutti gli altri nell’errore. A motivo di ciò ci sono state, e purtroppo ci sono, moltissime guerre che si ispirano alla religione ma che in pratica sono solo lotte per l’egemonia. La “vera” religione, diceva l’apostolo Giacomo, è quella che spinge il credente a occuparsi dei più deboli (gli orfani e le vedove, diceva), oggi potrebbero essere anche i profughi, le vittime di violenza, gli emarginati. Se ci si occupa degli ultimi, più facilmente si costruiscono ponti e non si lascia spazio per erigere muri».