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No alla bandiera confederata

Storica votazione della Convenzione battista del Sud che, a stragrande maggioranza, decide di vietare la bandiera, simbolo dell’odio razzista. Prosegue la riflessione delle chiese protestanti americane sul razzismo

«Chiediamo ai nostri fratelli e sorelle in Cristo, di vietare l’esposizione della bandiera confederata in segno di solidarietà con tutto il corpo di Cristo, che include i nostri fratelli e sorelle afro-americani», afferma la Risoluzione 7, che ieri è stata approvata con una maggioranza schiacciante dai delegati presenti all’incontro annuale della Southern Baptist Convention (Sbc).

La controversa risoluzione, proposta ad aprile dal pastore afroamericano Dwight McKissic della Cornerstone Baptist Church, Texas, chiedeva ai singoli credenti e alle Unioni e Organizzazioni membro della Sbc di vietare l’esposizione del vessillo utilizzato dagli schiavisti durante la Guerra di secessione americana.

La risoluzione oltre a ricordare che già nel 1995 la Sbc aveva ripudiato la schiavitù e si impegnava «a sradicare il razzismo in tutte le sue forme dalla vita e dal ministero della Southern Baptist», sottolinea che oggi oltre il 20% delle congregazioni della Sbc – la seconda più grande denominazione religiosa protestante in America che raccoglie quasi 11.000 chiese – è formato da afroamericani, e che negli ultimi due anni, oltre il 50% delle nuove chiese della Sbc sono nere.

«Non capita spesso di ritrovarmi ad asciugare le lacrime in un incontro denominazionale, ma l’ho appena fatto», ha detto Russell Moore, presidente della Commissione etica e libertà religiosa della Sbc, commentando la votazione.

«La Convenzione battista del Sud oggi ha fatto la storia e lo ha fatto nel modo giusto – ha dichiarato Moore –. Questa denominazione è stata fondata da persone che a torto difendevano il peccato della schiavitù umana. Oggi, la più grande denominazione protestante della nazione ha votato per ripudiare la bandiera confederata, simbolo di ingiustizie terribili contro i nostri fratelli e sorelle in Cristo afroamericani. Oggi i battisti del Sud hanno affermato di essere più fedeli al Vangelo che ad una bandiera, più vincolati al futuro che al passato».

Proprio la razza è stata uno dei primi argomenti che gli oltre 6.000 delegati delle congregazioni membro della Southern Baptist Convention (Sbc) hanno affrontato in occasione dell’incontro annuale che si è svolto a St. Louis, a 20 minuti dalla periferia di Ferguson.

Jerry Young, presidente della National Baptist Convention degli Stati Uniti d’America (Nbc) – la più grande denominazione a maggioranza afroamericana della nazione – ha affermato che il razzismo non è solo un problema sociologico, ma esso ha a che fare con il peccato. «Se abbiamo intenzione di cambiare il razzismo nella Chiesa in America, allora dovremo cambiare i nostri atteggiamenti, e avere la stessa mente di Cristo Gesù».

Il presidente della Sbc, Ronnie Floyd, ha detto di essersi impegnato per l’unità razziale da quando il 18enne Michael Brown è stato ucciso dalla polizia a Ferguson nel 2014.

«Uno dei più grandi peccati della nostra nazione oggi è il peccato del razzismo», Floyd ha scritto sul suo blog. «Il peccato di razzismo è una roccaforte spirituale in questa nazione, e ora è il momento che questo muro venga abbattuto. Appena ci pentiremo di questo peccato personalmente, nelle nostre chiese, e nella nostra nazione, forse vedremo il prossimo Grande risveglio spirituale nella nostra generazione».

La decisione della Sbc arriva pochi giorni prima dell’incontro che la Civilitas Group, una coalizione di pastori, rettori di università, giornalisti e responsabili di chiesa nata un anno fa, terrà a Charleston per commemorare l’uccisione dei nove membri della Emmanuel Afroamerican Methodist Episcopal Church avvenuta il 17 giugno 2015 proprio nella cittadina della Carolina del Sud.

Nel corso dell’anno trascorso Civilitas ha promosso dibattiti in tutto il paese, al fine di costruire ponti tra le comunità evangeliche di bianchi e di neri.

«Nei giorni e nelle settimane successive alla tragedia di Charleston, molti nella comunità evangelica bianca hanno voluto fare qualcosa per combattere la piaga del razzismo nel nostro paese e nelle chiese», ha dichiarato Birdsall, fondatore di Civilitas e presidente della American Bible Society. «Tuttavia, ci siamo presto resi conto che i leader evangelici bianchi ed afroamericani non si conoscevano l’un l’altro».

La prossima settimana, affronterà la tematica del razzismo anche la Chiesa presbiteriana in America (Pca). Più dei due terzi delle 63 mozioni presentate all’Assemblea generale chiedono il perdono per le azioni compiute dalla denominazione durante il periodo dei diritti civili. Mentre la denominazione è stata fondata nove anni dopo il Civil Rights Act del 1964, molte delle sue chiese erano già esistenti. «La riluttanza della nostra denominazione a dire la verità sulla incapacità di cercare giustizia e di amare la misericordia durante il periodo dei diritti civili ostacola in modo significativo gli sforzi attuali per la riconciliazione con i nostri fratelli e sorelle afroamericani e la loro partecipazione nella Pca», ha scritto il Presbiterio del Missouri in una mozione sostenuta da altri sette presbiteri.

La mozione invita l’Assemblea generale a confessare «i continui peccati di razzismo e di mancato amore verso i fratelli e le sorelle provenienti da culture minoritarie» e a impegnarsi nuovamente «a portare frutti che scaturiscano dal nostro pentimento».

Foto: flickr.com

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