Nuova dichiarazione di fede per la chiesa protestante unita di Francia
07 giugno 2016
La decisione presa durante la consultazione internazionale del 2 e 3 giugno a Parigi
Fonte: www.chiesavaldese.org
Il 2 e 3 giugno si è svolta, a Parigi, una consultazione internazionale promossa dalla Chiesa protestante unita di Francia (EpudF) per discutere la sua nuova Dichiarazione di fede. Un lavoro fruttuoso che fa seguito al processo di unificazione tra le Chiese luterane e riformate francesi e che ha coinvolto, oltre alle chiese locali e ai sinodi regionali, anche le chiese partner internazionali. L’adozione formale della Dichiarazione dovrebbe avvenire nel Sinodo del 2017. All’incontro di Parigi era presente anche il pastore Italo Pons, membro della Tavola Valdese, cui abbiamo rivolto alcune domande.
Quali sono i temi più significativi che emergono da questa Dichiarazione e quale giudizio ha espresso la Chiesa valdese in proposito?
«Trattandosi di una “Dichiarazione” e non di una confessione non c’è l’esigenza di essere esaustivi. Questi i temi cardine: la rivelazione che, attraverso la riconciliazione in Cristo, offre ad ogni creatura una nuova dignità; Parola e sacramento come nutrimento e orientamento per la nostra vita; il riferimento ai testi antichi e confessionali come espressione della pluralità della fede; la chiesa alla ricerca della Verità che non possiede; Cristo come apertura per l’incontro con il prossimo, malgrado le proprie insufficienze. La nostra chiesa, attraverso la sua commissione per le relazioni ecumeniche, si è rallegrata per questa Dichiarazione ritenendola un “un servizio a tutto il protestantesimo, anzi a tutto il cristianesimo del nostro tempo”. E’ stata altresì apprezzata la sua concisione e la possibilità di un suo utilizzo in ambito liturgico».
All’incontro erano presenti anche altri partner internazionali, ognuno con la propria storia e identità. Come è stato possibile pervenire a una sintesi? Le identità confessionali sono sempre più sfumate?
«Una consultazione di questo tipo rappresenta veramente un momento del tutto privilegiato per chi vi prende parte. Gli invitati, infatti, erano lì anche per presentare le realtà nelle quali vivono e i problemi che le loro chiese affrontano nel testimoniare la loro fede. Insomma, la domanda comune è come essere discepoli oggi. Sarebbe un errore pensare che tutto sia ormai uniformato nel mondo, le eredità di ordine storico e sociologico di ogni paese contano molto. In generale la Dichiarazione ha trovato un consenso ampio. Anche il rappresentante della Chiesa anglicana, pur ammettendo che la sua chiesa non potrebbe trovare le ragioni per scrivere un tale testo, ne ha apprezzato il contenuto e il modo con il quale è stato formulato. “Bisogna fare lo sforzo di cercare in esso quello che non viene detto: incarnazione, Trinità, il peccato, il perdono” – ha esclamato. Ci si è confrontati in maniera serena pur nella diversità delle visioni ecclesiologiche. Come ha ricordato il teologo André Birmelé nella sintesi finale, il problema della testimonianza oggi si gioca rispetto ai problemi concreti che la gente vive e affronta».
Una nuova Dichiarazione di fede è l’occasione per riformulare i contenuti della propria fede nel contesto attuale in cui ci troviamo a vivere. La Chiesa valdese non dovrebbe fare altrettanto?
«Sicuramente. Per i francesi è stata l’occasione per tornare a discutere su questioni fondamentali coinvolgendo diversi livelli nella chiesa. La tradizione riformata e quella luterana, le due anime della Chiesa protestante unita, hanno alimentato uno scambio fruttuoso. Il protestantesimo francese, inoltre, assomma tradizioni e origini teologiche diverse (quella ortodossa e liberale per citare le più evidenti) che hanno nomi e indirizzi precisi dei quali si va fieri. Tutto questo patrimonio ed eredità hanno ora la possibilità di confrontarsi attraverso il testo della Dichiarazione. Per parte nostra va rilevato che il contesto delle tradizioni non è così schematico come quello d’oltralpe. In futuro, probabilmente, nel misurarci con le sorelle e i fratelli che provengono da altri paesi del mondo, si potrebbe arrivare ad un’intesa sulla manifestazione della nostra fede. Il 2017 può essere una tappa importante dalla quale attenderci qualche cosa in questo senso».
Una Dichiarazione di fede, oltre alla stesura, richiede una lunga fase di assimilazione da parte di tutti. Oggi, invece, non si corre il rischio di essere messi subito sotto esame per verificare se si è ottemperato a quanto dichiarato?
«Nell’incontro si è più volte ricordato come i testi che dichiarano la fede rimandino sempre ad un autore e si impongano nel corso del tempo per la loro autorevolezza. Con questa Dichiarazione i francesi hanno creato qualcosa di molto più complesso: una discussione che ha coinvolto la base della chiesa, attraverso verifiche, consultazioni e così via. Qualcosa di inedito; un rischio, insomma. E’ un cammino di verifica alla luce dello Spirito. Certo ciò che resta determinante riguarda la prova del tempo ma mi pare che nella presentazione che ci è stata fatta questa consapevolezza sia molto presente. Proprio recentemente in una nostra chiesa metodista la predicatrice ha proposto, domenica 29 maggio, alcuni passaggi della Dichiarazione di Barmen che sono stati letti dall’assemblea. In quel momento era la storia della nostra testimonianza, che ci ha preceduto nei tempi moderni, ad essere evocata solennemente. Abbiamo radici e un passato che ci appartiene e che vogliamo affermare. Giustamente quando si afferma qualche cosa (maggiormente se si tratta di esplicitare la nostra fede) bisogna entrare in una dinamica di chiarezza; in altri termini ci si assume il rischio dell’autenticità. E’ questa l’impressione che ho ricavato da questi due giorni vissuti in un clima di grande comunione, ascolto, preghiera con sedici delegati provenienti da quattro continenti».