Ancora tensioni fra Ryad e Teheran
13 maggio 2016
Motivo della disputa il prossimo sacro pellegrinaggio a La Mecca, ultimo episodio di una lunga serie di incomprensioni e scontri
Nulla di fatto. Nonostante il lavoro sotterraneo delle diplomazie non accennano a diminuire le tensioni fra Iran e Arabia Saudita, fra i principali attori presenti sulla scena mediorientale.
Ad acuire nuovamente le incomprensioni è stata questa volta l’organizzazione del prossimo grande pellegrinaggio annuale a La Mecca, l’Hajj, uno dei cinque pilastri dell’Islam a cui tutti i fedeli musulmani sono chiamati a partecipare almeno una volta nella vita e che quest’anno cadrà a fine settembre. Il ministro per la Cultura di Teheran, Ali Jannati, ha infatti denunciato quello che non ha esitato a definire un “sabotaggio” nei confronti dei pellegrini che dovrebbero giungere dall’Iran, fra visti concessi con esasperante lentezza e aerei che non dovrebbero ricevere l’autorizzazione ad atterrare su suolo saudita.
E’ l’ultima di una oramai lunga sequela di azioni e parole che non fanno altro che allontanare sempre più le due potenze, e non è da escludere che in fondo sia questo il disegno segreto di entrambe, ambiziose nel porsi come leader economiche e spirituali dell’area. Il prepotente ritorno iraniano sul mercato, a seguito dell’abolizione dell’embargo, ha visto il presidente Hassan Rouhani prodigarsi in un giro del mondo volto a raccattare commesse milionarie per la ricostruzione di un Paese distrutto da anni di guerre, in cambio di petrolio a prezzo calmierato, con il rischio concreto di ridisegnare gli scenari e il peso specifico degli Stati dell’area.
L’Iran alfiere dell’Islam sciita e Ryad paladina della componente sunnita: alla base di ogni ragionamento esiste questa appartenenza alle due differenti correnti, muro divisorio, preambolo per tutto il resto. L’Arabia che accusa Teheran di interferire nelle vicende delle nazioni satellite del Golfo, dallo Yemen al Qatar, è la stessa che finanzia più o meno sottobanco i terroristi sunniti in Iraq, principali protagonisti degli scontri fratricidi che allontanano la pacificazione del Paese mentre l’Iran invia la Guardia repubblicana, il fior fiore dell’esercito, a combattere fianco a fianco con le forze regolari di Baghdad. Per non parlare della questione siriana, con Assad spalleggiato dalla repubblica islamica, mentre i ribelli ricevono armi e denari dai sauditi.
Tensioni crescenti, sottotraccia, riesplose con un botto deflagrante proprio in occasione dell’ultimo sacro pellegrinaggio a La Mecca, lo scorso anno. Un falso allarme bomba causò il panico e un fuggi fuggi generale fra i due milioni di fedeli presenti. Fu una strage con 2300 morti e fra questi oltre 450 iraniani, schiacciati dalla folla impazzita. Le polemiche sulla pessima gestione dei flussi fu pesantissima e le autorità saudite vennero accusate di incompetenza nella gestione dell’emergenza.
A gennaio di quest’anno inoltre gli emiri sauditi annunciarono al mondo l’esecuzione di 47 persone indicate come terroriste, e fra loro l’imam sciita Nimr al Nimr, accusato di terrorismo e sedizione per i suoi infuocati proclami contro la casa reale della dinastia Al Saud, che regge la nazione dal lontano 1926.
Seguirono manifestazioni di protesta violente e partecipatissime in Iran, culminate con l’assalto all’ambasciata saudita di Teheran e con la solenne scomunica pronunciata dalla guida suprema iraniana Ali Khamenei che ha invocato la vendetta divina sui nemici sauditi.
Nelle settimane scorse il lavoro sotterraneo degli sherpa sembrava aver riavvicinato le due delegazioni, proprio concentrandosi sull’organizzazione del prossimo Hajj, ma evidentemente il percorso è lastricato di ostacoli. Se non proprio di persone che remano controcorrente.