Se l’oceano inghiotte un’isola
12 maggio 2016
Il Sinodo della Provincia anglicana di Aotearoa, Nuova Zelanda e Polinesia ha definito una «strategia di resilienza» per far fronte ai disastri naturali
Se l’oceano inghiotte un’isola … No, non stiamo parlando di Atlantide ma di una concreta e drammatica realtà del nostro presente. Secondo quanto riportato dalla rivista scientifica Enviromental Research Letters nell’area dell’arcipelago delle Salomone sono scomparse cinque isole e altre sei stanno per fare la stessa fine. Un fenomeno dovuto all’erosione del moto ondoso aggravata però dall’innalzamento del livello dell’oceano causato dal riscaldamento globale.
Una notizia che giunge in Europa da mari remoti, ma che ha tutto un altro effetto se riportata nel Sinodo generale della provincia anglicana di Aotearoa, Nuova Zelanda e Polinesia in corso a Napier (Nuova Zelanda) dal 6 al 13 maggio. I deputati del Sinodo hanno infatti disposto la definizione di una «chiara strategia di resilienza» per far fronte a future, e purtroppo probabili, catastrofi naturali nelle isole del Pacifico. «Non possiamo rimanere al livello di una solidarietà spontanea ed estemporanea, che si rivela spesso inefficace. E’ invece tempo per la nostra chiesa di attivare la ‘modalità disastro’», ha affermato Fe'iloakitau Kaho Tevi, il deputato della Diocesi della Polinesia che ha presentato la mozione che impegna l’intera Provincia ad organizzarsi per una pronta risposta a eventi naturali catastrofici. Non solo la scomparsa di isole intere, ma anche la furia di cicloni dalla forza devastante come Winston che lo scorso febbraio ha colpito le isole Fiji lasciando oltre 50mila persone senza casa.
Per far fronte alle conseguenze di questi fenomeni tutt’altro che passeggeri, la mozione approvata dal Sinodo di Aotearoa, Nuova Zelanda e Polinesia prevede la formazione e l’addestramento di giovani in ogni parrocchia per avere una pronta risposta ad eventuali disastri; mettersi in rete con le agenzie di soccorso presenti nel territorio per un’azione coordinata ed immediata; creare gemellaggi tra chiese locali, in modo che possa scattare immediatamente una rete di solidarietà; chiedere alll’Anglican Mission Board di accompagnare il piano definito dal Sinodo inserendolo tra le proprie priorità.