Etiopia, un paese che ha sete
28 aprile 2016
Nella regione dell’Afar quasi dieci milioni di persone stanno affrontando una tra le peggiori siccità della storia del Paese. I pastori e gli agricoltori stanno abbandonando il territorio in cerca di acqua
Il cambiamento climatico, al centro del recente vertice di Parigi di fine 2015, non è soltanto un problema teorico e da leggere in prospettiva, ma anche una minaccia qui e ora per molte popolazioni del Sud del mondo. A preoccupare in modo particolare, in questi ultimi mesi, è la situazione della regione Afar, nell’est dell’Etiopia, un’area che sta affrontando la peggiore siccità degli ultimi decenni tra Etiopia e Somalia. Si tratta di uno dei più importanti shock climatici della storia dell’Africa orientale, che interessa quasi dieci milioni di persone, che rischiano di perdere raccolti e bestiame, oltre ad avere gravi carenze d'acqua e problemi di salute.
Tra le organizzazioni presenti sul territorio e impegnate in questa fase per cercare di arginare il problema, nei limiti del possibile, anche una realtà fondata in Italia esattamente cinquant’anni fa in ambito cristiano: Lvia, sigla che sta per Associazione Internazionale Volontari Laici. Andrea Bessone, responsabile dei progetti in Etiopia, e Cristina Coletto, volontaria nella regione di Afar, raccontano come si interviene in situazioni come questa, fatte di emergenza, ma anche di necessità di non perdere mai di vista la prospettiva.
L’emergenza che colpisce l’Afar dipende soltanto da una situazione eccezionale?
Bessone: «La situazione di oggi è il frutto di una situazione climatica particolare, quello di El Niño, ma si installa all'interno di un contesto evidentemente deficitario dal punto di vista pluviometrico per quanto riguarda l'Etiopia in generale, nello specifico l'Afar, la zona più toccata tra quelle in cui interveniamo. È un’area che subisce ciclicamente questi fenomeni di siccità, ma in questa fase si sono particolarmente acuiti a causa del fenomeno di El Niño. La situazione in Etiopia è nel complesso problematica, e lo Stato, con il supporto della comunità internazionale e delle ong, sta cercando di attrezzarsi attraverso dei programmi di sicurezza sociale che permettano ad alcuni milioni di persone ogni anno di ricevere un supporto in termini di aiuti alimentari e per un miglior accesso all'acqua. Il problema è che ormai da qualche mese questo non basta più: abbiamo dieci milioni di persone che si trovano in una condizione di difficoltà e di necessità di un supporto particolare per soddisfare le esigenze di base».
Se pensiamo che dietro a ogni persona, dietro a ognuno di questi dieci milioni di persone c'è una storia, c'è una vita, c'è qualcosa da raccontare, davvero, otteniamo un quadro impressionante. Quale intervento viene compiuto sul campo?
Coletto: «In Afar siamo presenti dal 2014 e stiamo portando avanti parallelamente progetti di emergenza, per far fronte alle situazioni critiche come questa, affiancati da un progetto di sviluppo a lungo termine per cercare di creare resilienza nelle comunità colpite dalla siccità, e quindi cercare di fare in modo che si possano adattare a questi cambiamenti climatici sempre più ricorrenti.
L'anno scorso abbiamo portato a termine due progetti di emergenza, mentre quest'anno ne sta partendo un altro, per cercare di migliorare l'accesso all'acqua per le popolazioni locali. Con i progetti di sviluppo, invece, si stanno portando avanti varie attività insieme alle comunità di pastori per cercare di migliorare la gestione dei pascoli, applicare tecniche sostenibili di conservazione del suolo e dell'acqua e per fornire formazione su tecniche di produzione e conservazione del foraggio o sulla salute animale. Uno degli obiettivi è la diversificazione delle attività generatrici di reddito, dato che si è visto ormai che le famiglie fanno fatica a vivere solo di pastorizia, e anche un rafforzamento istituzionale con i governi locali per cercare di creare dei piani per gestione e riduzione dei rischi».
Anche il governo italiano ha deciso di intervenire, con uno stanziamento di 10 milioni di euro per affrontare il problema in cinque paesi africani. Come si è arrivati a questa decisione?
Bessone: «Ci sono stati dei contatti con le autorità nazionali e con i governi da parte del nostro esecutivo, e si è osservata una situazione in evoluzione negativa che non poteva essere ignorata. Ecco, rispetto alle necessità che si sono manifestate siamo arrivati forse un po’ in ritardo, ma a questo punto è fondamentale dare sostanza a questa mobilitazione di fondi per cercare di affrontare questa fase che si annuncia ancora dura. Certo, qualche pioggia nel frattempo è arrivata, ma stiamo parlando di un territorio in cui da più di un anno piove poco o nulla, per cui non si riescono a soddisfare le esigenze di base della popolazione per quanto riguarda il consumo di acqua. Questi fondi verranno sicuramente utilizzati in buona parte dalle ong che già intervengono nell'area, come la nostra».
Al di là dello shock portato da El Niño, gli effetti del cambiamento climatico si percepiscono a livello strutturale?
Coletto: «Le conseguenze si vedono già, e già soltanto nei primi mesi del 2016, quasi diecimila famiglie sono migrate dalla regione Afar alle regioni circostanti in cerca di acqua e pascolo. Le conseguenze si vedono sulla qualità del pascolo, che ormai è quasi inesistente in molte zone dell'Afar. Molti capi di bestiame sono morti, si dice siano più di 500.000 solo nel 2015, e molti pastori hanno deciso di abbandonare l'attività di pastorizia perché non ce la fanno più, perché hanno perso tutti gli animali, o comunque sono in condizioni fisiche pessime, per cui il prezzo sul mercato è diminuito, la produzione di latte è quasi ridotta a zero, e questo comporta sia una perdita di ingressi economici per le famiglie, sia un peggioramento nell'alimentazione, con casi di malnutrizione. Un'altra conseguenza è l'abbandono scolastico, per la situazione di emergenza molti bambini piuttosto che andare a scuola devono andare a cercare l'acqua, camminando per lunghe distanze, o comunque aiutando la famiglia in altre attività, per cui c'è un incremento dell'abbandono scolastico. Oggi il sistema tradizionale, pastorale e nomade, che caratterizza le popolazioni Afar, è violentato da questa situazione climatica, ambientale, che incide in maniera devastante sulla vita di tante persone».