In Mauritania si muore per un'idea
27 aprile 2016
Blogger condannato alla pena capitale per aver criticato chi utilizza la religione per emarginare le minoranze
Mohamed Mkhaïtir ha 32 anni, vive in Mauritania, e dal 5 gennaio 2014 è detenuto nelle carceri del suo paese in attesa di veder applicata la sentenza di morte cui è stato condannato da un giudice del tribunale di Nouadhibou, nel nord-ovest della nazione, per il reato di apostasia.
La colpa è quella di aver pubblicato un post su facebook in cui si criticava chi utilizza la religione per emarginare alcuni gruppi sociali e le minoranze dalla vita pubblica. Mkhaïtir, di professione blogger, ha spiegato durante il processo di non aver voluto in alcun modo criticare Allah o l’Islam, ma solo denunciare chi fa un uso distorto del messaggio del profeta. Dopo l’arresto si è pentito per due volte, ma nonostante il codice penale del paese sahariano preveda la clemenza in questi casi, nessuna indulgenza è stata al momento concessa dai giudici.
A tenere alta l’attenzione sul caso è Amnesty International che in occasione della pubblicazione del rapporto sulla pena di morte nel mondo ha ricordato come in Mauritania siano state emesse nel 2015 5 condanne a morte, non eseguite. Nel braccio della morte vi sono attualmente 19 detenuti, 13 dei quali stranieri.
In Mauritania, ex colonia francese, fra le nazioni più povere al mondo, l'Islam è religione di stato, confessione abbracciata dal 99% dei tre milioni di abitanti. Minime quindi le presenze di altre confessioni, circa 10 mila i cristiani, che tentano di manifestare la propria fede nonostante i paletti posti dalla legislazione, che punisce per l'appunto il reato di apostasia, impedendo ogni sorta di evangelizzazione. La Bibbia non può essere stampata o venduta, ma non è reato possederne una in casa.