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I bambini dello Yemen

È uscito il 29 marzo «Children on the brink», un rapporto dell’Unicef che guarda alla guerra con gli occhi dei più deboli

Da più di un anno la guerra civile yemenita che vede contrapporsi il governo sunnita ai ribelli sciiti Houthi (una minoranza etnica del nord del paese) si è trasformata in un confronto internazionale tra le due potenze di riferimento: Arabia Saudita e Iran. Dal marzo 2015 l’Arabia Saudita è infatti a capo di una «coalizione del Golfo» composta da Qatar, Kuwait, Bahrain e Emirati Arabi (cui in seguito si sono aggiunti Egitto, Sudan, Marocco e Giordania) che conduce raid aerei in soccorso delle forze «lealiste» del presidente sunnita Rabbih Mansur Hadi, figura forte dell’appoggio degli Stati Uniti e di buona parte dei governi occidentali.

In un rapporto risalente allo scorso ottobre Amnesty International ha denunciato i crimini di guerra compiuti dall’Arabia Saudita su territorio yemenita – pochi giorni dopo due ospedali di Medici Senza Frontiere vennero bombardati –, un mese fa il Parlamento europeo ha invece votato a maggioranza un documento che richiede l’interruzione della vendita di armi al regime Saudita (un mercato di cui l’industria italiana è tra i maggiori beneficiari).

Nel tentativo di accendere i riflettori su una crisi umanitaria che fatica a trovare spazio sui giornali dell’Occidente, lo scorso 29 marzo l’Unicef ha pubblicato un rapporto sull’impatto del conflitto sui bambini yemeniti, dove si calcola che dal marzo 2015 la guerra abbia ucciso in media 6 minori al giorno (un terzo del totale dei morti civili). Secondo i dati riportati nel rapporto, nel solo 2015, durante gli attacchi che hanno colpito 50 scuole e 63 strutture sanitarie sarebbero rimasti uccisi oltre 900 bambini, feriti più di 1.300.

Tuttavia, come sempre, il contesto di guerra miete più vittime di quelle causate direttamente dalle bombe. L’Unicef stima che nel corso dell’anno passato più di 10.000 bambini sotto i 5 anni siano morti per malattie semplici, come diarrea e polmoniti, rese mortali dall’ulteriore deterioramento delle condizioni genico-sanitarie (già pessime dall’inizio della guerra, essendo lo Yemen uno dei paesi più poveri del mondo). Attualmente circa 7.4 milioni di bambini avrebbero urgente bisogno di cure mediche. Più della metà della popolazione infantile del paese – 11.5 milioni di bambini, 3.5 milioni dei quali sotto i 5 anni – vive in stato di povertà (non è un caso che dei 180 milioni di dollari stimati dall’Unicef per fronteggiare la crisi umanitaria un terzo sarebbe destinato al solo approvvigionamento di cibo). Con l’acuirsi del conflitto, è inoltre aumentato il reclutamento militare di minori: 848 è la cifra registrata dall’Unicef, che sottolinea come i soldati-bambino più piccoli abbiano appena dieci anni.

Secondo Giacomo Guerrera, presidente di Unicef Italia, la situazione dello Yemen è tanto grave quanto emblematica del momento geopolitico. «Lo Yemen è al confine con l’Arabia Saudita – argomenta al telefono – al centro di un conflitto internazionale tra sunniti e sciiti che sta trasformando il paese in terreno di conquista. Era un paese povero e fragile già da prima della guerra, ma oggi la situazione è gravissima. Siamo presenti in Yemen e cerchiamo di intervenire e di aiutare, soprattutto la popolazione. Portiamo aiuti, chiediamo il sostegno attraverso i fondi. Gli yemeniti anno bisogno di tutto».

Nell’interpretazione di Guerrera, la situazione in Yemen è assimilabile a quella di altri paesi trasformati in terreno di battaglia dalla geopolitica: «si tratta di guerre minori internazionalizzate, come accaduto in Siria. Solo che nel caso dello Yemen ancora non se ne parla. Per questo siamo lieti del fatto che qualcuno si dedichi a questo tema: il ruolo dell’informazione è imprescindibile. Perché la fuga è sempre verso l’Europa, non possiamo accorgercene solo quando sono già in atto crisi migratorie, quando improvvisamente costruiamo muri. Ho visitato diversi centri di prima accoglienza, ho parlato con chi ha rischiato la vita per raggiungere il nostro paese: una volta mi sono sentito dire che in Italia si vincono centomila euro aprendo un pacco. Siamo il continente più vicino, e il nostro è un messaggio di ricchezza. A volte nel rapportarci al sud del mondo sembriamo non rendercene conto. Bisogna prevedere e agire nei paesi di origine, e invece soffiamo sul fuoco dei loro conflitti interni, e poi ci stupiamo che le persone cerchino di scappare».

Interrogato sulla vendita di armi all’Arabia Saudita Giacomo Guerrera non ha dubbi: «L’Italia esporta armi in tanti paesi, non solo in Arabia Saudita. È un settore che fa parte della nostra economia. Ma si tratta di scelte ingiustificabili. Per parte nostra, noi vorremmo la conversione di quest’industria, ma non abbiamo la forza. Possiamo però dimostrare la nostra indignazione, gridarla: no alla vendita di armi, all’Arabia Saudita e a qualsiasi altro paese».

 Foto: Ferdinand Reus from Arnhem, Holland - cropped version of Yemen, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5962270

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