Ai confini dell’Unione: l’intolleranza bulgara
02 marzo 2016
Intervista a Francesco Martino, corrispondente da Sofia per l’Osservatorio Balcani e Caucaso
Francesco Martino, giornalista, vive e lavora in Bulgaria da più di un decennio, da prima che il paese entrasse nell’Unione europea. Nel 2007 il discusso Bojko Borizov non era ancora primo ministro, ma la Bulgaria era già attraversata dalle contraddizioni economiche e politiche che segnano buona parte delle repubbliche dell’Est Europa. Cinque secoli di dominio ottomano, due guerre mondiali e il comunismo sono i lasciti di un passato che si cerca di dimenticare, abbracciando in maniera acritica il consumismo e la nazione. Due invenzioni “occidentali”.
L’emergenza migratoria scatenata dalla guerra in Siria ha riacceso i riflettori sui Balcani e in particolar modo sulla Bulgaria, il paese che ha eretto il secondo muro in Europa. In realtà, già prima di allora Sofia deteneva la «maglia nera» dell’Ue. Perché?
«In ordine cronologico la Bulgaria non è l’ultimo Stato membro dell’Ue, perché la Croazia è entrata dopo, nel 2013. Tuttavia lo rimane però nell’immaginario, nel discorso pubblico. Il politico occidentale che voglia criticare con buoni argomenti la frettolosità del “grande allargamento” del 2004/2007, citerà senza sbagliare il “caso bulgaro”: i dati di Trasparency International, che la vedono al primo posto in materia di corruzione, o la reazione inumana del governo e della società di fronte alla crisi migratoria. Ci sono sentenze dei tribunali tedeschi che vietano il rimpatrio dei profughi registrati in Bulgaria per l’assenza delle «minime condizioni» umanitarie. Tutto questo lede all’immagine del paese e della sua gente, ma tutto sommato porta acqua al mulino dei governanti, sia bulgari che europei».
In che senso?
«In Bulgaria l’élite politica cavalca le peggiori pulsioni della popolazione. Prendiamo l’emergenza migranti: ovviamente non tutti i bulgari sono xenofobi, come in tutti i paesi c’è anche chi si è mobilitato, esistono associazioni e un’embrionale società civile (come il gruppo “amici dei rifugiati”, nato su internet, estremamente attivo in questi anni). Al contempo però la retorica politica dominante, veicolata con efficacia dai media, soffia sulle paure dell’uomo della strada, facendo leva sul mito politico tipico delle società post-coloniali fresche di liberazione: l’unità, l’interezza della nazione. All’interno della lettura storica bulgara, la religione islamica dei migranti siriani diviene un dato sensibile: la Bulgaria, cristiana, sottomessa per secoli alla Sublime Porta, ha finalmente trovato la forza di liberarsi; quand’ecco che dall’Oriente tornano i giannizzeri, questa volta travestiti da profughi. Questa è la trama data in pasto all’opinione pubblica. Sul piano esterno, dicevo, la durezza del governo bulgaro ha due ricadute “positive”: sul governo stesso, che arginata l’”invasione” del 2013 si garantisce una minore penetrazione nel paese – le brutte storie d’intolleranza si sono diffuse rapidamente lungo tutta “la rotta”, oggi i migranti evitano scientemente la Bulgaria – e sull’Europa “civile”, perché, dopotutto, in pochi lo ricordano, la Bulgaria è una delle frontiere esterne dell’Unione».
Sta dicendo che l’Europa stigmatizza ma sotto sotto approva le politiche del governo bulgaro?
«Forse non l’Ue nel sue insieme, non le istituzioni comunitarie. Ma di fatto i singoli governi stanno attuando misure deterrenti simili al filo spinato che corre lungo il confine turco-bulgaro. Pensiamo a quanto sta accadendo tra Grecia e Macedonia, grazie anche all’iniziativa politica dell’Austria, che il 24 febbraio scorso ha convocato a Vienna tutti i paesi balcanici eccezion fatta per la Grecia, su cui premono più di 100.000 migranti. Non è questa una politica “bulgara”? per rappresaglia, l’ambasciatore greco è stato richiamato da Vienna, un fatto gravissimo, avvenuto tra due paesi membri. Ecco perché sono portato a pensare che la cattiva reputazione della Bulgaria sia da un lato un comodo deterrente per il suo governo, il quale desidera semplicemente mantenersi nella comoda posizione di spettatore, ma d’altro canto anche per gli altri governi europei, lieti di utilizzare la cattiva nomea di Sofia per scaricare mancanze e fallimenti che sono anche i loro. I paesi del nord come la Germania danno lezione d’accoglienza, ma sono gli stessi che richiedono intransigenza ai brutti e cattivi paesi di frontiera. In un certo senso essere sia in Europa che ai suoi confini è un incentivo alla chiusura. Ne sa qualcosa la Grecia, sempre redarguita e sempre lasciata sola».
Che paese è la Bulgaria? Come si vive “sotto” Bojko Borizov detto «Batman»?
«La Bulgaria è un paese dell’Est che ha conosciuto una crescita economica esponenziale e disordinata. Alla pari di altri leader balcanici, anche Bojko Borizov ha un passato ambiguo, legami mai del tutto chiariti con ambienti criminali. Negli anni d’oro della transizione è stato a capo di un’agenzia di guardie del corpo. Ha fatto da body-guard sia al leader comunista Todor Živkov che a Simeone di Sassonia-Coburgo-Gotha, ex monarca bulgaro eletto primo ministro dal 2001 al 2005. È stato a capo della polizia, poi sindaco di Sofia, infine nel 2009 ha vinto le elezioni. In generale, nella società bulgara, i sentimenti dominanti sono la paura e la sindrome d’abbandono. Sanno di essere ai margini e sanno di essere governati da politici corrotti. Costretti a vivere in una situazione incerta, nel nome dell’ordine minimo accettano compromessi che in altri contesti non si tollererebbero. Molti bulgari con cui parlo ogni giorno della crisi migratoria mi dicono: “voi potete permettervi di fare i sofisticati con i diritti, non noi che siamo ai margini… Pretendete che risolviamo un problema che per noi è ingestibile, e che non abbiamo creato noi”. Questa è l’accusa mossa all’”Occidente”. C’è una parte di verità e una parte di fuga dalle responsabilità. In Bulgaria è tutto contraddittorio: basti pensare che mentre si agita lo spauracchio del profugo musulmano non ci si rende conto che il 16% dei bulgari è di religione islamica. Sì, la Bulgaria è il paese Ue con la più alta percentuale di cittadini musulmani».