La ricerca genetica è compatibile con la fede?
04 febbraio 2016
Il caso britannico, con la decisione di avviare la sperimentazione di tecniche di ingegneria genetica su embrioni umani, rilancia interrogativi che toccano la sfera medica e quella etica
Lunedì 1 febbraio l’Hfea, la commissione che nel Regno Unito stabilisce le regole per tutto ciò che riguarda temi come la fertilità umana e la scienza legata alla riproduzione, ha concesso l’autorizzazione a un gruppo di ricerca genetica di Londra per avviare una sperimentazione sulla modifica di embrioni umani. Nelle intenzioni dei ricercatori questi esperimenti serviranno per comprendere meglio, e magari in futuro cancellare, le cause degli aborti spontanei, ed aumentare l’affidabilità e la sicurezza dei sistemi per la fecondazione assistita.
La tecnica, chiamata Crispr-Cas9, verrà utilizzata per la prima volta su embrioni umani nei laboratori del Francis Crick Institute, laboratorio che porta il nome di uno dei due scopritori della struttura del Dna, e non ha mancato di scatenare polemiche sui rischi legati a un ambito sensibile come quello della genetica umana. Tuttavia, secondo la genetista Anna Rollier, membro della Commissione bioetica della Tavola valdese e già docente di genetica molecolare presso la Facoltà di medicina dell’Università statale di Milano, «questa apertura alla ricerca sperimentale nel Regno Unito può avvenire soltanto su cellule germinali ed embrioni che assolutamente non si svilupperanno, nel senso che al quindicesimo giorno vanno distrutti o comunque la sperimentazione va interrotta, e questa è una prescrizione dell'Hfea, la commissione che si occupa della genetica e si occupa anche della fecondazione assistita, dell'infertilità e di tutte queste tematiche. I britannici sui dettami della Hfea sono molto rigidi, e i controlli per esempio sul fatto che tutti gli esperimenti sugli embrioni possano essere portati avanti soltanto fino al quattordicesimo giorno sono molto frequenti. Insomma, da questo punto di vista siamo assolutamente garantiti. Non è poco».
Come si è arrivati a questo punto?
«La storia è abbastanza lunga. Le tecniche per la modificazione di Dna di organismi viventi sono note dagli anni Settanta, e le linee guida risalgono al 1975, quando vennero stabilite con la conferenza di Asilomar, in California, che ha riunito biologi molecolari, medici ed esperti di diritto. Da un paio di anni, invece, è stata messa a punto una nuova potente tecnica di ingegneria genetica dal nome di Crispr-Cas9, detta anche Crispr, che sta rivoluzionando i laboratori di biologia del mondo intero. Questa tecnica rende possibile la rimozione dal genoma, il patrimonio genetico contenuto in ogni cellula, di qualsiasi gene indesiderabile, o viceversa l'inserimento di geni desiderabili, e più in generale questa tecnica permette pure la ricodificazione di qualsiasi sequenza di Dna. Concretamente si “taglia” un gene e lo si sostituisce con un altro, un’operazione che in realtà è possibile fare e viene fatta nei laboratori di biologia molecolare e di genetica molecolare da più di quarant'anni».
Ma quindi che cos'è cambiato? Qual è la ragione dell'allarme che la tecnica Crispr sta suscitando?
«Le ragioni sono due: una riguarda le caratteristiche tecniche di questa tecnologia, e l'altra le loro conseguenze. Questa tecnica, infatti, usa nuovissimi mezzi per compiere la sperimentazione, per “tagliare” e “reinserire” nel Dna determinati geni, e questi mezzi sono estremamente efficaci, potenti e, ultimo ma non meno importante, molto economici. Questa situazione rende di fatto facile l'utilizzo con successo della tecnica da parte di qualsiasi biologo molecolare normalmente formato. La conseguenza è che quasi chiunque, nell'ambito del mondo di ricerca dove si fanno questi esperimenti, potrà inserire, rimuovere e far esprimere geni in cellule di ogni tipo. Questo genera però una conseguenza: quando si parla di “cellule di ogni tipo” parliamo anche di cellule dal funzionamento e dalla fisiologia più complicata, appartenenti a specie ad alto livello della scala evolutiva, come per esempio cellule germinali, cioè ovociti, spermatozoi ed embrioni umani. Da questo deriva un fatto di grande importanza, perché le modificazioni introdotte nella linea germinale umana, come in quella di qualsiasi altra specie vivente, sono destinate a essere ereditate, passando da una generazione alla successiva, e a entrare in modo irreversibile nel pool di geni della specie umana».
Il dibattito su questo tema è abbastanza polarizzato. Cosa sostengono le due posizioni prevalenti?
«Da una parte abbiamo una posizione che definirei “attendista”, di chi afferma che esistono almeno tre aspetti fonte di serie preoccupazioni: il rilascio ambientale di organismi geneticamente modificati, la sicurezza e gli aspetti etici e sociali. La posizione che mette in luce gli aspetti preoccupanti della Crispr chiede con preoccupazione e con insistenza una moratoria dell'utilizzo della tecnica: chiede insomma che sia decretato un periodo di sospensione totale delle applicazioni, e che questo periodo venga utilizzato per prolungare le ricerche sperimentali di base, le cui conseguenze poi si possano applicare alle ricerche cliniche, e per avviare un dibattito tra esperti e cittadini in modo da “educare” la popolazione in vista di un dialogo informato sia sugli aspetti tecnici che su quelli etici e sociali che si accompagnano all'utilizzo di questa tecnica. Questa preparazione, questa “educazione” dei cittadini, è quella che dovrebbe permettere alla società nel suo insieme di dare vita a delle consensus conference, ovvero dibattiti mirati a raggiungere in maniera partecipata e responsabile una decisione su un punto centrale: come cittadini e come genitori desideriamo che le caratteristiche genetiche che oggi, in questo secolo e in questi anni, sono le preferite, debbano essere codificate per sempre nelle generazioni a venire?»
Invece quelli che potremmo definire “favorevoli”?
«Da questa parte il fulcro è quello delle potenzialità: da parte dei favorevoli all'utilizzo in tempi brevi di questa tecnica anche in ambito clinico si sottolinea l’importanza di poter incidere sul grande numero di patologie genetiche per le quali non esiste alcun tipo di terapia. Stiamo parlando di almeno duemila malattie, tra cui per esempio vari tipi di cancro, l’epatite, l’Aids, la distrofia muscolare, ma anche l’anemia mediterranea. Tutte queste patologie sono quelle contro le quali l'utilizzo clinico di Crispr potrebbe diventare un efficace rimedio. I sostenitori considerano il fatto che esistano delle situazioni per cui oltre a un utilizzo di tipo medico, Crispr potrebbe servire in altri campi completamente diversi, come la produzione di combustibile, l'allevamento di piante utili geneticamente modificate e varie altre situazioni».
Tra le accuse più frequenti rivolte all’ingegneria genetica c’è quella del rischio di una deriva verso l’eugenetica. Quanto c’è di vero?
«Bisogna cominciare definendo il significato del termine “eugenetica”. La parola, correttamente intesa, indica una pratica definita dalla storia che è una politica di Stato; per questo motivo è inappropriato utilizzare la parola “eugenetica”, perché dà in sé un'indicazione sulla mentalità di chi la usa. Detto questo, per ora e ancora per molto tempo, operazioni di quel genere, che comportino un cambiamento comportamentale, di atteggiamenti, visioni, è assolutamente impensabile, così come lo è agire sull'aspetto fenotipico umano. Pensare di essere capaci di fare delle operazioni di quelle che adesso è possibile fare, compreso il Crispr, che portino a uno specifico risultato estetico o comunque del fenotipo della persona che deriverà dalle cellule germinali su cui si è lavorato, non è possibile».
La ricerca genetica si può conciliare con l'etica cristiana?
«Penso che in sé lo sia, ma dipende da come la si fa. Credo che non esista alcun fatto, nello sviluppo delle conquiste della specie umana e non deviato da progetti politici distruttivi, che non sia conciliabile, perché una persona che crede persegue uno sviluppo nel quale c'è un aspetto di relazione con Dio, un effetto della presenza di Dio».