Un Lutero per l’islam?
14 gennaio 2016
In questo momento in cui crescono l’integralismo e il dialogo interreligioso è difficile, vale la pena far conoscere il pensiero del teologo musulman Abu Zayd
All’indomani della strage di Parigi l’imam francese Tareq Obrou, rettore della grande moschea di Bordeaux, autore di vari saggi sull’islam europeo, da anni impegnato nel dialogo interreligioso, ha dichiarato: «Esistono forme di discorso religioso conservatore che surrettiziamente offrono materia al radicalismo e all’integralismo. Occorrerebbe una riforma radicale della teologia e del diritto canonico musulmani, che sono stati forgiati nel Medioevo in una logica imperiale e califfale di dominio. Il mondo è cambiato, la globalizzazione ha creato tante situazioni in cui occorre imparare a diventare una minoranza e accantonare le ideologie di dominio» (Avvenire, 21-11-2015).
Tempo fa un amico mi ha scritto: ci vorrebbe oggi per l’Islam un altro Lutero che potesse affiggere alle porte del santuario di Medina 95 tesi per il cambiamento.
Si riferiva, penso, alla rivoluzione realizzata dal monaco agostiniano: la fine e il superamento del cristianesimo medievale.
L’uomo (Lutero) associato al simbolo (la Chiesa, Wittemberg) hanno coniugato insieme la rivoluzione, il cambiamento; una sorta di imprimatur e di benedizione da parte di Dio (identificato nel «santissimo» di una chiesa) all’azione dell’uomo (Lutero). Si può oggi sognare uno choc «pari» a quello che impattò 498 anni fa che ribaltò l’umanità europea e che ponga le fondamenta per un nuovo inizio anche per l’islam? Un evento della stessa portata di quello accaduto per la nascita della Riforma protestante?
Certamente vale la pena far conoscere il pensiero di Nasr Hamid Abu Zayd, teologo musulmano morto nel 2010. Merita sicuramente di non essere dimenticato per la sua carica eversiva.
Nato a Quhafa in Egitto nel 1943, approda all’insegnamento universitario dopo una formazione insolita (scuola cristiano-copta, istituto professionale, lavoro di radiotecnico).
Determinanti risulteranno due soggiorni negli Stati Uniti e in Giappone. In queste soste all’estero, Abu Zayd conosce il pensiero ermeneutico, in particolare divora i libri di Hans Georg Gadamer e si accorge che spunti riconducibili al suo pensiero sono presenti nella tradizione mistica del sufismo islamico.
Nel 1995 gli viene mossa l’accusa di apostasia, è costretto a emigrare in Olanda per continuare a insegnare.
Verso la fine della sua vita Abu Zayd approda alla definitiva discussione dell’ortodossa interpretazione del Corano che lo vede come parola divina eterna e immutabile.
Per lui invece il Corano non è un testo, ma un discorso dalla struttura aperta e dal carattere storico. È essenzialmente dialogo e dibattito, non veicola un’unica ideologia ma incita al confronto, all’interscambio delle opinioni.
Non vi è nel Corano nessuna canonizzazione di un sistema sociale o politico. A proposito di sharia, la sua presa di posizione è netta: «Nel Corano, le differenze in campo sociale sono soltanto riconosciute, ma non completamente legittimate. Esse furono invece legittimate e ulteriormente sviluppate nel senso opposto a quello del Corano dai giuristi che formularono quella che oggi è conosciuta come sharia. La sharia, in definitiva, non è che un’interpretazione storica del Corano espressa secondo norme medievali a cui il Corano stesso si oppone. Il problema e la sfida che si pone oggi ai musulmani è di riconoscere, rispettare e attuare, in una società quale è quella moderna in cui l’uguaglianza, la libertà e i diritti umani sono la regola, l’assoluta parità così come è stabilita nel Corano al più alto livello. Riusciremo a promuovere i contenuti sociali del Corano ad una sfera cosmologica, etica e spirituale o continueremo il declassamento medievale dei valori coranici sotto la spinta delle rivendicazioni della sharia?».
Anche per Abu Zayd occorre superare l’islam medievale.
A proposito di guerra e pace propone di leggere di leggere ogni versetto coranico che invita all’una e all’altra come una rivelazione «situata», scritta in risposta a precise circostanze storiche.
Nella sua intensa e appassionata autobiografia (disponibile anche in italiano Una vita con l’Islam, Il Mulino) a un certo punto cita, come esemplare per intendere la visione e la struttura del pensiero coranico, una straordinaria poesia del mistico sufi medievale Ibn Arabi:
«Il mio cuore assume ogni sembianza
di una pastura per la gazzella e di un eremo per il monaco,
di un tempio per i pagani e della Ka’ba per i pellegrini
delle tavole della Torah e del libro del Corano.
Credo nella religione dell’amore.
Qualsiasi sentiero il cammello di Dio voglia intraprendere,
l’amore rimane la mia fede e la mia religione».
È ora più che mai il momento di dar forza alle considerazioni e agli auspici che alla notizia della sua morte Giuliano Amato ha pronunciato: «Nasr Hamid Abu Zayd era una di queste grandi figure di intellettuale la cui vita e i cui scritti hanno insegnato a tutti noi che possiamo capirci l’uno con l’altro, imparare l’uno dall’altro e vivere in pace gli uni con gli altri a prescindere dalle diversità etniche e religiose. La sua ricerca sugli insegnamenti dei testi sacri, eccezionale ed impareggiabile, andando oltre il significato letterale delle parole scritte nel contesto culturale dei secoli passati, ha inoltre dimostrato che le religioni non sono mai un ostacolo al riconoscimento dei diritti fondamentali di ciascun essere umano e, quindi, alla elementare solidarietà tra noi sulla quale la pace può essere costruita. Ci mancherà, ma i suoi principi rimarranno con noi e daranno forza e orientamento al nostro immutato impegno per il dialogo tra le civilizzazioni».