Boom di conversioni fra i migranti in Germania
17 settembre 2015
Diventare cristiani significa evitare il probabile rimpatrio: vera conversione o assurdo obbligo?
«Parigi val bene una messa» si può attualizzare con «l’Europa val bene un culto»?
Così parrebbe a leggere fra le righe di uno dei fenomeni che fa da corollario agli esodi di proporzioni inaudite che stanno caratterizzando questi mesi: in Germania si registra infatti un elevato numero di conversioni al cristianesimo da parte di migranti e rifugiati.
Non tutti illuminati sulla via di Damasco probabilmente: la motivazione principale pare si possa ricondurre alle persecuzioni che i cristiani subiscono nei Paesi di origine, per cui i nuovi cattolici e protestanti non potrebbero venire rimpatriati perché rischierebbero concretamente di venire uccisi.
Lo status di rifugiato viene sostanzialmente riconosciuto a chi fugge da un Paese considerato in guerra o in cui si rischia di venire uccisi a causa della propria fede o etnia: condizioni aleatorie, stabilite nel disperato tentativo di dare un ordine, tu si e tu no, ai flussi.
In questa giostra ora possono salire i siriani, ma quasi tutti gli altri, afgani, iracheni e via cantando, che certo non lasciano a casa dispense piene e finestre con doppi vetri, rischiano di dover scendere dopo il primo giro perché considerati migranti per questioni economiche e non legate alle persecuzioni. L’agenzia di stampa Associated Press ha svolto nei giorni scorsi un’inchiesta fra alcune chiese luterane di Berlino, in cui dopo circa tre mesi di catechesi, viene consentito il battesimo e quindi l’iscrizione fra le file dei credenti cristiani. Il boom di presenze è stato fragoroso in queste stagioni. Opera sicuramente della capacità evangelica dei rappresentanti ecclesiastici, ma si tratta forse anche di un escamotage, un ennesimo tentativo di evitare rimpatri forzosi.
Le migrazioni umane non si possono arrestare. Chi si fa carico di viaggi massacranti, a rischio della propria vita e di quella dei propri figli, meriterebbe qualcosa in più che una divisione fra chi ha diritto all’ asilo e chi deve tornare da dove è fuggito a prezzo di immani sacrifici, non solo economici.
E meriterebbe di non dover passare attraverso una conversione per guadagnare i galloni di rifugiato.