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Teologi svizzeri sul tema della migrazione

La Svizzera dovrebbe aprire le proprie frontiere a tutti i profughi, sostengono teologi riformati e cattolici che criticano il silenzio delle rispettive autorità ecclesiastiche sull'argomento

Sebbene la Svizzera non sia affatto confrontata con un'emergenza profughi, durante questa estate preelettorale l'allarme lanciato dall'Udc riguardo al cosiddetto “caos nell'asilo” ha suscitato ampio dibattito. Sul tema dell'asilo e dei profughi, i vertici delle chiese riformata e cattolica non hanno detto quasi nulla. “Molte persone della base delle chiese sono impegnate a favore dei profughi e in questo momento si sentono abbandonate”, afferma Matthias Hui, redattore del periodico “Neue Wege”, rivista espressione del socialismo religioso. «Restando in silenzio le chiese si giocano la loro reputazione», sostiene Hui, «in un campo in cui la loro credibilità, presso ampie fasce della popolazione, è ancora molto alta». 

Un manifesto radicale

Nel 2011, insieme con altre persone che condividono i suoi stessi principi, Hui ha fondato la rete “KircheNordSüdUntenLinks”, alla quale hanno nel frattempo aderito circa 120 teologi cattolici e riformati e persone impegnate nel lavoro delle chiese con i migranti. Negli scorsi giorni la rete ha presentato una “Carta della migrazione”, che fa appello alle chiese affinché “protestino con forza” contro l'attuale politica migratoria. Il manifesto è radicale: partendo dai principi biblici di uguaglianza e di dignità umana, chiede il diritto per tutti di stabilirsi liberamente ovunque nel mondo. Gli autori scrivono che nella tradizione giudaico-cristiana esiste persino un “obbligo di migrazione”, quando questa significa andarsene da situazioni di oppressione - un rimando a Mosè e all'esodo dall'Egitto.

La carta chiede inoltre un diritto all'asilo, derivato dalla “preferenza di Dio per gli esclusi”, e un diritto alla tutela dell'esistenza. La migrazione, sostengono gli estensori della Carta, è causata da una “politica economica e commerciale capitalistica, dall'esportazione di armi e da uno stile di vita non sostenibile, per cui le condizioni di sostentamento vengono distrutte anziché tutelate”. È necessaria perciò una “globalizzazione della giustizia”, affinché vengano eliminate le cause che «costringono persone e intere popolazioni a lasciare il proprio paese».

Contro il torpore delle chiese

Responsabili firmatari della Carta, oltre a Hui, sono tra gli altri Verena Mühlethaler, pastora della chiesa aperta di St. Jakob a Zurigo, Andreas Nufer della chiesa aperta di Berna, il renano Christoph Albrecht, gesuita e assistente spirituale dell'università e Nicola Neider, che dirige l'Ufficio migrazione-integrazione della Chiesa cattolica a Lucerna.

«Vogliamo scuotere i vertici delle chiese e richiamarli alla tradizione dell'impegno ecclesiastico per i profughi», afferma Hui. Invece di tacere per paura, in occasione delle elezioni del prossimo 18 ottobre le chiese dovrebbero opporsi con coraggio «a una Udc che gioca costantemente col fuoco del razzismo». Il teologo è consapevole che la Carta susciterà opposizioni e potrebbe anche far nascere l'accusa di ingenuo buonismo. Ma è molto più ingenuo credere di poter tenere sotto controllo il problema dei profughi erigendo muri, afferma.

I limiti dell'accoglienza

«Le tragedie nel Mediterraneo mostrano che la politica migratoria sinora adottata è fallita ed è necessario perseguire nuove strade”, sostiene Hui. Il teologo rimanda a esperti di migrazione come il ricercatore François Gemenne, il quale mette in dubbio che un'apertura delle frontiere farebbe aumentare il flusso di migranti. L'accusa di ingenuità non regge anche perché nella Carta si chiedono misure di accompagnamento per la popolazione residente, come nell'accesso al mercato del lavoro, nei salari o nella proprietà immobiliare. “Inoltre gli immigrati devono riconoscere nei suoi molteplici aspetti l'identità di coloro che vivono nel luogo e della loro vita comunitaria», sottolinea Hui.

Diversa da quella di Hui e dei suoi colleghi è la posizione sostenuta del presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Svizzera Fces, il pastore Gottfried Locher, il quale ha espresso le proprie opinioni in un'intervista concessa al portale internet ref.ch. Secondo Locher è impendabile che non tutti quelli che soffrono di indigenza economica possono immigrare in Svizzera. «Se anche in futuro vogliamo aiutare le persone laddove sono in pericolo di morte, allora dobbiamo trovare la forza di dire anche no in certi casi».

Le chiese si impegnano per i profughi

Walter Müller, portavoce della Conferenza dei vescovi, non vuole commentare il contenuto della Carta della migrazione. Non è compito della chiesa immischiarsi nella politica corrente, sostiene. «Ma il nostro messaggio è molto chiaro: le persone in difficoltà hanno bisogno della nostra solidarietà. I membri della chiesa sono in grado di capire che cosa significa questo appello per loro nella vita quotidiana». Müller sostiene inoltre che la chiesa cattolica non tace sulla questione dei profughi e ricorda il messaggio del 1. agosto pronunciato dall'ex abate di St-Maurice, Joseph Roduit. Nel suo intervento, Roduit ha esortato la Svizzera a impegnarsi effettivamente «per rimanere un paese aperto all'accoglienza».

La portavoce della Fces Marina Kaempf afferma che l'impegno per i profughi è spesso duro lavoro che non ha nulla di spettacolare. La Federazione delle chiese impiega un delegato per la migrazione e versa annualmente un milione di franchi all'organismo umanitario evangelico HEKS per migliorare la tutela giuridica dei profughi. Inoltre, afferma Kaempf, nei centri di accoglienza ci sono assistenti spirituali che si occupano dei richiedenti l'asilo. «Siamo convinti che con un tale impegno si potranno raccogliere i frutti migliori».

(da NZZ, trad. it. G. M. Schmitt/voceevangelica.ch - (Simon Hehli) Fonte Voce Evangelica)

Foto "LE Eithne Operation Triton" by Irish Defence Forces - https://www.flickr.com/photos/dfmagazine/18898637736/. Licensed under CC BY 2.0 via Commons.

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