A vent’anni sul Cervino
30 luglio 2015
Il resoconto nelle parole del nostro collaboratore Marco Rostan
La conquista del Cervino, da parte di una cordata di 7 persone, fra cui tre guide, fu realizzata da Edward Whymper 150 anni fa, il 14 luglio 1865. Nella discesa si verificò anche una delle prime grandi tragedie alpinistiche, con la morte di 4 componenti e infinite polemiche sulle responsabilità. In competizione con gli inglesi vi erano le guide di Valtournanche e il neonato Club Alpino Italiano che con Jean-Antoine Carrel salirono sulla cima tre giorni dopo.
A vent’anni sul Cervino! Un sogno. Questa indimenticabile emozione me la fece vivere Ettore Serafino, che già mi aveva portato sul Monviso per la cresta Est. Con me si portò dietro Pierino Dassano, un fortissimo del Cai di Pinerolo. A una curva della strada per Valtournanche si rinnovò la grande emozione che avevo vissuto la prima volta del Monviso: eccolo là, il grande scoglio d’Europa, e ci andrò sopra? Incredibile... Al Rifugio dell’Oriondé, Ettore ci fece mangiare una bisteccona di carne dicendo che forse saremmo stati via due o tre giorni. Nel pomeriggio eravamo sui nevai sotto la Testa del Leone e poi sulle rocce della cresta italiana, fino alla «Grande Corde» che pende in un diedro di 40 metri alla cui base colpiscono le tante lapidi dei caduti «pour rupture de la corde». Con questa beneaugurante presentazione, ci si attacca a questo cordone pensando a come avranno fatto i primi salitori. Subito sopra ecco la capanna Amedeo: qui passiamo la notte insieme ad alcune guide con i loro clienti. Io sono eccitatissimo, è l’altezza (come quella del Monviso) ma è soprattutto il luogo: quando mai ho dormito in un posto simile? E infatti non dormo, mi alzo spesso per bere e guardare la stellata nera, e in basso le luci del Breuil. Al mattino le guide non mancano di sgridarci, sia per lo scricchiolio della porta che ho aperto varie volte, sia per aver bevuto l’acqua sciolta dalla neve, senza per altro aver portato, come loro, dal basso, un po’ di rami di larice per fare il fuoco.
Subito dietro la capanna il risveglio è brutale e le mani fanno male sulle placche verglassate. Non a caso il primo tratto si chiama «la corda della sveglia». Sul nevaio Linceul, mentre il tempo è splendido, incontriamo una delle guide che ridiscende con la sua pipa in bocca insieme al cliente. Hanno già fatto la punta perché in due si va molto più veloci e la guida ci dice in francese: «fate presto perché tra un’ora nevica».
Nessuno gli avrebbe creduto in città; in cielo non c’era una nuvola. Continuiamo con qualche difficoltà nel trovare i passaggi giusti, ma Pierino ci guida verso l’alto. Riconosco i luoghi di cui ho letto sui libri: «l’Enjambée», il Pic Tyndall, finalmente la Scala Jordan e l’arrivo sulla cima italiana. Ci sono, ma non vedo niente salvo i puntuali primi fiocchi spessi di neve. Poi, senza fermarci, veloci sulla punta svizzera, quella del famoso Whymper, e giù lungo la cresta dell’Hornli, afferrando le grosse corde ghiacchiate.
Finalmente c’è una schiarita, sostiamo un attimo per mangiare qualcosa. La sosta è fatale; torna la nebbia e poi il buio, a un certo punto perdiamo il filo di cresta andando giù per una cengia che taglia verso il basso la parete est. Quando mancano 20 metri per mettere piede sul ghiacciaio, Ettore decide saggiamente che è meglio bivaccare e attendere il chiaro dell’alba. Altra esperienza unica; fa un freddo boia perchè è tornato il sereno e nel cielo brillano le stelle del 10 agosto. Io ho solo la mia giaccavento leggera, di quelle double face di un volta, rossa da un lato e nera dall’altro, ma Ettore ha il duvet e in qualche modo, abbracciati l’uno all’altro e al duvet, passiamo una notte indimenticabile. Spunta da qualche tasca benedetta una fiaschetta di cordiale, che riscalda il cuore. All’alba Ettore gira un po’ di cordino su due o tre pietre, ci passa dentro la corda e dice «vado giù io che sono il più pesante, se tiene me andrà bene anche per voi». Lo vediamo scomparire e poco dopo riapparire sul bianco del ghiacciaio: è fatta. Alle otto di mattina siamo seduti ai tavolini del rifugio svizzero: mi sembra di sognare, come continuerò a fare risalendo il ghiacciaio fino al Colle del Teodulo e poi giù al Breuil, alla macchina, a Pinerolo! Ettore non manca di scrivere una cartolina alla guida, ringraziandola e comunicandole che è andato tutto bene, e lui ci risponderà. Uomini di montagna...