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La tassa sulle religioni in Germania fa ancora discutere

La recente notizia delle imposte non pagate dal calciatore Luca Toni riaccende i fari sulla questione della contribuzione alle chiese di appartenenza

E’ un fatto che sta a metà strada fra la cronaca e la notizia di colore, ma è anche un utile spunto per ragionare sulle modalità di sussistenza economica delle chiese, non solo nel nostro Paese.

Luca Toni, possente attaccante italiano, campione del mondo nel 2006 con la nazionale azzurra nella notte di Berlino, ha vestito per due stagioni e mezza la casacca dei bavaresi del Bayern di Monaco, segnando valanghe di gol, prestando il proprio nome a specialità culinarie italiane, giochi, gadget, ed anche ad una canzone diventata tormentone.

Ma si è dimenticato di fare una cosa: pagare la Kirchensteuer, sostanzialmente la tassa sulle religioni. Che in Germania ha un peso pari a circa l’8 o il 9% delle imposte pagate. Non proprio quel che si può definire un obolo.

Per Toni, che certo faticherà a perderci il sonno visti gli ingaggi che percepisce da molti anni, si tratta comunque di una bella cifra, un milione e settecentomila euro, che ha convinto il bomber nostrano a presentare ricorso. Ma in materia di conti e debiti c’è poco da scherzare con i tedeschi, e infatti per il fisco teutonico il matrimonio con quella che oggi è sua moglie testimonia inequivocabilmente la fede cattolica del giocatore. Scambi di accuse in corso con i commercialisti, ma immaginiamo che alla fine il lungagnone di origini emiliane dovrà chinare il mento e saldare il dovuto. Euro sonanti che andranno insieme a quella degli altri fedeli a mantenere le attività, le strutture e i dipendenti della chiesa, in questo caso cattolica.

In Germania quando si va a registrare un nuovo nato o un nuovo residente all’anagrafe, è necessario segnalare la propria fede di appartenenza, oppure dichiarare la non appartenenza ad una delle confessioni che hanno diritto di riscuotere la tassa. Nel primo caso si viene inseriti nei casellari della propria confessione e al momento opportuno si inizierà a contribuire; nel secondo caso i soldi rimarranno nelle proprie tasche. Ma chi sceglie questa opzione ed è cattolico può scordarsi di accedere ai sacramenti, secondo quanto stabilito dalla curia tedesca, con una decisione che sta facendo molto discutere, anche all’interno del mondo cattolico romano. Stesso discorso per chi è straniero, sia esso un minatore turco della Ruhr o uno dei calciatori più pagati del pianeta.

La questione è spinosa: per i cattolici tedeschi non si è parte della comunità se non si contribuisce con la suddetta tassa, per cui niente battesimo, matrimonio, eucarestia, etc etc.

L’attenzione che si è accesa in questi ultimi anni sul tema, dovuta in parte proprio alle regole più stringenti imposte dal mondo cattolico tedesco, sta provocando una vera e propria fuga di fedeli dai registri di chiesa.

Nel 2014 circa 200mila fedeli protestanti hanno abbandonato la propria chiesa con un atto ufficiale, mentre erano stati 138mila nel 2013. I numeri della Chiesa cattolica per il 2014 non sono ancora noti, mentre nel 2013 circa 178mila cattolici hanno rinunciato all’appartenenza ufficiale alla Chiesa.

Nel 2013, la chiesa cattolica e quella protestante hanno raccolto complessivamente circa 10 miliardi di euro dalla tassa sulla religione.

In Svizzera e in Danimarca i sistemi di contribuzione sono simili, mentre in Italia vige l’imposta dell’otto per mille sui redditi, con facoltà per il singolo cittadino di devolverlo alle confessioni presenti, anche se differenti da quella di appartenenza. L’anomalia nostrana è relativa alle quote inespresse, cioè a quell’altissimo numero di contribuenti che non praticano alcuna scelta, e il cui otto per mille viene comunque ripartito fra tutte le confessioni che ne hanno diritto, secondo criteri di proporzionalità, per cui con la chiesa cattolica a farla da padrona. Al di là dell’otto per mille nel mondo valdese i membri di chiesa sono chiamati a compartecipare alla vita della propria comunità, ma non è prevista sanzione alcuna per chi non lo fa, esattamente come per i protestanti e per gli ebrei tedeschi. Che le confessioni vadano sovvenzionate dai propri fedeli pare la soluzione più ragionevole, ma la chiesa cattolica tedesca è andata oltre: non si è un fedele se non si sostiene economicamente la propria chiesa.

Entrambe le modalità sono in parte discriminanti nei confronti del dichiarante: in Italia perché pur non volendo si ritrova a contribuire alla vita delle comunità ecclesiastiche, in Germania perché un fedele paga sostanzialmente più tasse di un ateo.

Foto "Luca Toni" di http://www.postproduktie.nl. Con licenza CC BY 2.5 tramite Wikimedia Commons.

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