Nessun futuro all’orizzonte
21 maggio 2015
Che cos’è “l’identità europea”? Ci riconosciamo europei sulla base del minimo comun denominatore della esclusione degli altri, specialmente se stranieri
Le barche strapiene di migranti sono alla deriva in mare aperto dopo essere state respinte da tre Stati. Non si conosce la sorte delle altre imbarcazioni.
Non siamo nel Mare Monstrum, il Mediterraneo, ma nell’Oceano Indiano dove migliaia di Rohingya, popolazione birmana di religione musulmana, fuggono dalla Birmania/Myanmar, perché perseguitati dal teonazionalismo che infesta il paese: si è veri birmani solo se si è buddisti.
In Libano, grande come un Abruzzo con quattro milioni di abitanti, vivono un milione e mezzo di rifugiati. A Dabaab, in Kenia, c’è il più grande campo profughi del mondo che ricovera 500 mila persone. E si potrebbe continuare zumando su milioni di esseri umani in trasloco in ogni dove sulla superficie terrestre. Per forza, per scelta, per sogno.
L’Europa è sempre stata brava a trasferirsi armi [soprattutto] e bagagli nel Resto del Mondo, da colonialista, da missionaria o da emigrante. Adesso che viene toccata dai flussi mondiali di popolazioni si autoblinda, si tappa in casa e non vuole più vedere nessuno. Ha un che di stravagante osservare le oligarchie della UE, quelle abili con gli scioglilingua fiscal compact, quantitative easing, governance, austerity, mentre implorano gli Stati Membri di accogliere chi 300 chi 2000 profughi e gli Stati Membri dire spavaldamente, in questo caso, No e poi No.
Fanno finta di non sapere, gli uni e gli altri, che fra non molto, dieci, venti anni?, l’Europa dovrà inventarsi campagne di richiamo e di attrazione per le popolazioni più diverse se non vorrà soccombere al suo declino demografico, alla drastica riduzione della popolazione in età da lavoro. Se vorrà salvarsi. Ma questi avvertimenti non interessano nessuno, perché nessuno osa più affacciarsi al futuro.
Chi vede estinguersi i propri diritti sociali, chi è respinto dal luogo di lavoro, chi un luogo di lavoro non sa come sia fatto, chi ne vede troppi e pericolanti, precipita nei fantasmi della insicurezza. E domanda sicurezza. Contro quelle che immagina come "popolazioni pericolose" e che una macchina mediatica ha contribuito a caricare del peso della diversità irriducibile. Che ha reso "etnie", cioè tribù nemiche. Settecento milioni di europei sono impauriti dall’arrivo di qualche migliaio di immigrati, profughi e non. La paura è una brutta bestia. E’ così brutta che in Europa sta riportando in auge uno dei più fortunati prodotti del made in Italy, il fascismo. E’ sotto gli occhi di tutti la fascistizzazione del continente, in forme inedite e sotto altri nomi. “L’Europa dei popoli”, si diceva, e mi viene la pelle d’oca. Quella “identità europea” che non si sapeva come costruire – chi ricorda il dibattito sulle ipotetiche radici cristiano/ebraiche? - adesso viene saldamente impiantata per negazione. Ci riconosciamo europei sulla base del minimo comun denominatore della esclusione degli altri, specialmente quelli più stranieri, cioè gli stranieri poveri, come suggeriva H.M. Enzensberger.
Gli appelli all’accoglienza, alla solidarietà, alla generosità, appartengono al genere predicatorio e retorico. E’ un dovere ricordarsi l’articolo 10, comma 3, della Costituzione italiana: «lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d'asilo nel territorio della repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge», ma non è più sufficiente perché è ancora tutto interno alla logica noi/loro. Abbiamo invece bisogno di una progettualità politica che tenga conto che, prima volta nella storia, siamo diventati tutti “negri”, e come i “negri” abbiamo dei seri timori che riguardano il futuro e il presentimento di poter finire anche noi nello spam, la sorte della natura, dell’aria, della Terra e delle nuove generazioni ci inquieta molto, ci chiediamo con un certo affanno se il super potere delle tecnologie ci sia amico, se la disponibilità di lavoro si sia definitivamente esaurita, se non siamo già precipitati nella post democrazia. Abbiamo bisogno di progetti, magari piccoli, che rovescino l’andazzo, che amplifichino i sinistri scricchiolii del sistema. Che riconoscano la comune negritudine e che di pura razza ariana sono solo le oligarchie.