La Svezia vuole riaffermare I suoi valori di apertura e tolleranza
28 aprile 2015
Un reportage svela l’antisemitismo nascosto nel paese
Quando un militante estremista fece un’irruzione in un supermercato kosher a Parigi poco dopo il massacro dei vignettisti nella redazione di Charlie Hebdo, i media svedesi descrissero il fatto come una presa di ostaggio in un negozio alimentare. Non c’era nessuna menzione di motivazione antisemita. Ora, il capovolgimento è completo e si traduce con una discussione a pieno regime nei media sull’ampiezza e le radici dell’antisemitismo in Svezia, la quale si vanta di essere un faro di tolleranza e di apertura. «La Svezia si è svegliata dalla sua illusione di fiaba, nella quale essa si vede come una società senza razzismo», ha dichiarato Willy Silberstein, presidente del comitato svedese contro l’antisemitismo, lo Skma.
Un reportage con cinepresa nascosta rompe il sogno svedese. Perché gli attentati di Parigi provocassero un dibattito che inondasse le prime pagine dei giornali, con corsi accelerati sulla storia e le origini dell’antisemitismo in Europa e nel Medio Oriente, c’è voluto un fatto interno al Paese. Il momento decisivo di questo capovolgimento è stato in realtà il reportage con cinepresa nascosta di un giornalista televisivo non ebreo che si è messo una kippah in testa per fare il giro dei quartieri musulmani di Malmö, la terza più grande città di Svezia.
I telespettatori della popolarissima trasmissione Uppdrag Granskning sono stati allora scioccati nel vedere il giornalista farsi insultare e minacciare, e questo è stata anche l’occasione di una presa di coscienza per molti ebrei. Dopo la trasmissione, il dibattito si è intensificato nelle pagine editoriali. «Sono nato in Svezia. Ma ci sono posti in cui non posso accedere portando la mia stella di Davide attorno al collo o una kippah in testa», ha dichiarato Willy Silberstein la cui organizzazione cerca da anni di allertare le autorità di Malmö circa l’antisemitismo.
Misure di sicurezza antiterrorista rafforzate. Poco tempo dopo, due attacchi nel Paese vicino hanno fatto crescere la paura. Il primo si è svolto in un bar di Copenaghen in cui si teneva una manifestazione sulla libertà di parola. Il bersaglio era Lars Vilks, un artista conosciuto per le sue rappresentazioni provocanti del profeta dell’islam, Maometto. Il secondo si è svolto contro una sinagoga danese davanti alla quale una guardia di sicurezza ebrea è stata uccisa. In seguito a questi attacchi, il livello di sicurezza si è intensificato, in Svezia, all’esterno delle istituzioni e delle scuole ebraiche, con la presenza di poliziotti armati di mitra. Scene in contrasto con l’immagine che questo Paese ha di se stesso, di essere una società sicura e aperta.
«I bambini non sono autorizzati a uscire durante la ricreazione, a causa di problemi di sicurezza. La scuola è come un bunker», ha dichiarato Petra Kahn Nord i cui tre figli vanno in una scuola ebraica a Stoccolma. Il campo di vacanze di suo figlio maggiore è stato annulato a causa di problemi di sicurezza, e ora sta pensando di trasferirsi negli Stati Uniti o in Israele.
«I genitori stanno facendo ricerche sul sito internet dell’ambasciata americana, per verificare le possibilità di lavoro in America oggi. Molti non si sentono più in sicurezza in Svezia». Secondo un’inchiesta fatta nel 2013 dall’Unione europea, gli ebrei svedesi temono di portare simboli religiosi ebraici come la kippah o la stella di Davide più degli ebrei belgi, tedeschi, francesi, ungheresi, italiani, lettoni e britannici.
La composizione della popolazione svedese è cambiata. La Svezia ha ricevuto molti rifugiati provenienti dalla Somalia, dall’Iraq e ora dalla Siria. Circa il 15% della popolazione è nato all’estero. In qualche decennio, l’omogeneo Paese di biondi si è trasformato in una società multiculturale dinamica. Anche gli svedesi hanno difficoltà nel lotro approccio con gli immigranti provenienti dal mondo musulmano. Cresce il risentimento, come testimonia il partito nazionalista anti immigrazione, i democratici di Svezia, che ha ottenuto il 13% dei voti alle elezioni dello scorso autunno. Il Servizio di sicurezza svedese stima a 300 i cittadini svedesi che si stanno battendo a fianco dello Stato islamico in Siria. La Svezia non dispone di alcun quadro giuridico per impedirli di partire, poi di tornare in Svezia. I responsabili della sicurezza possono solo chiedere ai 130 combattenti svedesi attualmente conosciuti di dire quando lasciano la Svezia. La nuova legislazione dovrebbe regolamentare questi viaggi.
Un’integrazione riuscita? Bisogna sottolineare che i musulmani che sono apertamente ostili agli ebrei sono una minoranza. Tuttavia, il ricercatore in studi islamici, Eli Gondor, ha messo in evidenza che molti immigranti, in particolare quelli del mondo arabo che hanno vissuto a casa loro diecine di anni di propaganda anti israeliana, portano radicate in loro nozioni antisemite. «Ma non sono i valori svedesi», ha dichiarato Siavosh Derakhti, fondatore del gruppo «giovani musulmani contro l’antisemitismo e la xenofobia». «E se vogliono vivere in Svezia, devono adattarsi. Mi trattano di razzista perché dico questo. Questo è il problema in Svezia. La gente ha paura di fissare dei limiti, paura di essere tacciata di razzista».
Gli stereotipi antisemiti non sono riservati agli immigranti. Quando la radio svedese pubblica intervistò di recente l’ambasciatore di Israele in Svezia, Isaac Bachman, il giornalista gli chiese più volte: «Gli ebrei sono responsabili della crescita dell’antisemitismo?». Alla fine, Bachman rispose che la domanda era dello stesso tipo che rendere responsabile una vittima di stupro della sua aggressione.
«Ho sentito come un tradimento il fatto di porre questa domanda mentre un guardiano della sinagoga ebraica era stato appena assassinato a Copenaghen», ha detto Negar Josephi, membro di una radio svedese pubblica indipendente, che ha pubblicato una sua opinione per protestare. La radio svedese pubblica si è scusata dicendo che l’animatore era stressato. «Sì, è come se qualcuno lanciasse all’improvviso il peggiore degli insulti perché è stressato», ha replicato Negar Josephi. Quest’ultima è convinta che esista una profonda mancanza di conoscenza della storia ebraica e della geopolitica del Medio Oriente. «Molti svedesi non sono capaci di distinguere gli ebrei dagli israeliani», spiega. Dopo gli attentati di Copenaghen, un giornalista televisivo svedese, descrivendo il memoriale alla sinagoga danese, ha visto una bandiera israeliana e l’ha chiamata «la bandiera ebraica».
Prese di posizione forrti e importanti mezzi per lottare contro il razzismo. Mentre il dibattito sta prendendo connotazioni politiche, con qualche gauchiste che dice che il problema sta principalmente nell’islamofobia e che pretende che il diritto politico si concentri solo sull’antisemitismo, Siavosh Derakhti, il giovane attivista musulmano che lotta contro la discriminazione nei confronti delle minoranze, afferma che i musulmani e gli ebrei hanno bisogno di sostenersi a vicenda. «Non ci dovrebbe essere competizione per sapere qual è la minoranza più discriminata», ha detto. «Dobbiamo aiutarci gli uni gli altri».
Il giovane ha raggiunto un «cerchio della pace» umano attorno a una sinagoga di Stoccolma, mano nella mano con gli altri partecipanti, in una manifestazione contro l’antisemitismo, ricalcata su un evento analago a Oslo. Rivolgendosi alla folla nel freddo crepuscolo d’inverno, Stephan Löfven, il Primo ministro, ha detto alla folla che spetta agli svedesi decidere quale tipo di società intendono essere.
«Non possiamo lasciare che l’odio si accappari della società», ha affermato. Il governo ha stanziato 25 milioni di dollari perché sia portato avanti uno sforzo educativo contro l’antisemitismo e il razzismo. Quando il Primo ministro è intervenuto alla grande Sinagoga di Stoccolma per la commemorazione del 70º anniversario della liberazione di Auschwitz, il re Carl Gustaf XVI e la regina Silvia erano seduti in prima fila.
(Traduzione dal francese di Jean-Jacques Peyronel)