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La fede non sia zona franca dell’intolleranza

Il Religious Freedom Restoration Act dell’Indiana

Il governatore Mike Pence ha firmato il Religious Freedom Restoration Act — Legge per il ripristino della libertà religiosa — per lo stato USA dell’Indiana. Si tratta della “legge attuativa” a livello statale dell’omonima legge federale, promulgata dal presidente Bill Clinton negli anni 90, tra gli atti di cui l’ex inquilino della Casa Bianca si vanta maggiormente ancora oggi.

La legge federale nasceva per difendere il diritto di una tribù nativa di poter mangiare per motivi religiosi il peyote, il celebre fungo allucinogeno, senza incappare nel divieto di fare uso di sostanze stupefacenti. Nasceva per difendere ragionevolmente una minoranza.

Invece, la particolarità della versione dell’Indiana è che permette a titolari di imprese private di discriminare determinate persone in base alla propria convinzione religiosa. Tale convinzione non deve essere dimostrata, ma semplicemente affermata e può esserlo ex-post, ovvero può essere avanzata come giustificazione in seguito alla discriminazione.

Ogni legge nasce — o dovrebbe nascere — per rispondere ad un’esigenza particolare. In questo caso l’esigenza è quella di permettere a fornitori di beni e servizi legati al matrimonio di non fare catering, torte nuziali, servizi fotografici e quant’altro in occasione di matrimoni tra persone dello stesso sesso. Va detto che la pressione da parte dei clienti respinti in passato ha portato non solo alla chiusura delle imprese discriminanti, ma anche alla bancarotta personale dei titolari, alcuni costretti addirittura a vendere la casa per pagare i danni. Questo è eccessivo. Nella giustizia deve valere un principio di proporzionalità: se non servi i clienti, posso pure farti chiudere, ma gettarti in mezzo a una strada è ingiusto.

Detto questo, non si può rispondere a ingiustizia con ingiustizia o, se vogliamo, a combattere il male con il male. O quanto meno non può essere la norma.

Una legge ingiusta

L’Indiana ora concede l’assoluta arbitrarietà al commerciante o all’imprenditore. Immaginiamo se lo stato avesse incoraggiato i vergognosi divieti d’ingresso “Ai cani e ai meridionali” che campeggiavano sulle vetrine di alcuni negozi del Nord Italia negli anni 1960. È vero che alcuni commercianti dell’Indiana hanno detto di non avere nulla contro gli omosessuali e allo stesso tempo di non voler specificatamente servire un matrimonio tra omosessuali per motivi religiosi: una sorta di obiezione di coscienza rispetto a un fatto specifico più che a una persona specifica. Pur non condividendo il distinguo, questo distinguo potrebbe anche esserci. Ma la legge dell’Indiana non legifera per una precisa fattispecie: il passo dal rifiutarsi di servire un matrimonio a rifiutarsi di servire una persona specifica per motivi religiosi — che, ripeto, non devono essere dimostrati, ma affermati — è veramente breve, e legittimato dalla norma firmata dal governatore Pence.

A scanso di equivoci, le chiese non hanno mai dovuto temere alcuna causa, perché sono protette costituzionalmente negli USA. La chiesa cattolica può infatti continuare a non ordinare donne. Libera è l’adesione a una chiesa e, se una chiesa non ti accetta in quanto donna, omosessuale o afroamericano, te ne cerchi una che ti accetti: in America funziona così. La legge dell’Indiana riguarda la libertà dell’individuo, che nella società offre beni e servizi, di discriminare sulla base della propria — non necessariamente specificata — fede religiosa.

Religione equivale a intolleranza?

Il vero problema della legge dell’Indiana, da un punto di vista religioso, è che per discriminare cittadini che — ormai, purtroppo, direbbero alcuni — non si possono più discriminare, ci si attacca alla religione. Il governatore Pence dichiara di non discriminare i gay e le lesbiche, ma di voler evitare la discriminazione di cittadini che vogliono discriminare in base al proprio credo religioso. In altre parole, se fossi ateo e volessi discriminare gli omosessuali — o chiunque altro: la legge nasce contro i gay, ma potrebbe applicarsi contro chiunque — non avrei alcuna possibilità in tribunale oppure mi converrebbe dichiarare di essere religioso, perché i religiosi possono essere intolleranti.

Questo è il corto circuito che una persona di fede non può accettare: non si può accettare che sia comunemente constatato che il religioso possa essere intollerante a causa della sua religione.

È di questi giorni, anche, la notizia che a quasi 7mila km di distanza da Indianapolis, il Comitato consultivo nazionale d’etica di Francia ha chiesto di mantenere il divieto alle persone omosessuali di donare il sangue. Dal 2013 nel Comitato — che assomiglia a una nostra “Autorità” più che a un “Comitato consultivo” — non sono più presenti teologi, che erano invece presenti dalla sua costituzione nel 1983 e rappresentavano tutto lo spettro ecumenico e interreligioso. Il presidente Hollande cacciò i teologi in nome della laïcité: l’occasione fu l’opposizione alla legge che istituiva il matrimonio per tutti. Senza gli intolleranti rappresentanti di religioni intolleranti, il Comitato ha partorito una richiesta non giustificata da altro se non da un’intolleranza viscerale nei confronti di una specifica categoria di cittadini. È vero che è più alta l’incidenza del virus HIV tra gli omosessuali che tra gli eterosessuali. Ma questo avviene anche tra gli africani comparati agli europei. A Benjamin Disraeli veniva attribuita la frase secondo cui «Ci sono tre tipi di bugie: le bugie, le maledette bugie e la statistica».

Gli intolleranti non usino più la religione

Il caso francese, accostato a quello dell’Indiana, ci dice che non è vero che l’intolleranza è appannaggio esclusivo delle religioni. Anzi, sarebbe il caso che le religioni si scrollassero questa nomea una volta per tutte, evitando di fornire giustificazioni all’intollerante di turno. Ci sono comportamenti comunemente tollerati, che molti testi sacri o tradizioni religiose non accettano, ma sono gli esseri umani di oggi che scelgono quali antichi divieti riesumare e quali tenere sepolti. È esemplare il caso degli idioti che si tatuano il versetto del Levitico che condanna il rapporto sessuale tra due uomini, ignorando che lo stesso libro del Levitico vieta i tatuaggi. E sono sicuro che una bistecca al sangue — anch’essa vietata dalle Scritture ebraico-cristiane — non sia disdegnata dai molti militanti contro gli omosessuali.

L’intolleranza nei confronti delle persone omosessuali è viscerale ed è precedente all’incontro con la Bibbia. Possiamo noi, persone di fede, credere che chi sia intollerante, lo sia a causa del proprio incontro con la Scrittura? O non è invece più probabile che abbia cercato nella Scrittura una giustificazione alla propria intolleranza? L’incontro con la fede dovrebbe creare cambiamento, non conferma di sé. C’è chi incontrando la fede da ricco è diventato povero, chi da schiavista ha liberato gli schiavi, chi da ladro è diventato una persona onesta. Perché chiediamo a queste persone di cambiare, ma agli intolleranti invece offriamo una sponda per continuare ad essere tali? Perché non lasciamo che essi provino a difendersi da soli, invece di usare la Bibbia come scudo?

Ovviamente questo discorso non vale esclusivamente per i cristiani, ma vale per tutte le persone che, incontrando Dio, hanno cambiato la propria vita. Vale per tutte quelle persone che, quando incontrano l’altro, non vedono più solo il diverso, ma soprattutto un’altra creatura di Dio. Come se stesse.

Foto via Pixabay | Licenza: CC0 Public Domain

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