In testa al corteo
25 marzo 2015
Dopo l’uccisione della studiosa musulmana a Kabul, le donne si sono ribellate alla violenza, come era successo un mese fa a Mersin, in Turchia. Il commento della teologa Shahrzad Houshmand
Hanno portato la bara della ragazza uccisa sulle spalle, sfidando la tradizione che le vuole in fondo al corteo funebre, separate dagli uomini, anche di fronte alla morte. L’hanno portata perché nessun maschio toccasse più il suo corpo, gesto simbolico di sfida e di ribellione contro una violenza perdurante, reiterata e inaccettabile. Sono le donne di Kabul e quelle di Mersin, musulmane che hanno rifiutato con un gesto un’interpretazione distorta del Corano che le vuole sempre in disparte, sempre sottomesse. La cronaca è nota: a Kabul, pochi giorni fa, una giovane di 27 anni è stata linciata dalla folla vicino a una moschea, sotto gli occhi della polizia, con l’accusa di aver bruciato alcune pagine del Corano. Accusa rivelatasi poi falsa, come il fatto che fosse affetta da una malattia mentale: Farkhunda era in realtà una religiosa e una studiosa del Corano, che aveva semplicemente contestato la vendita di amuleti fuori dalla moschea. Per questo le hanno dato fuoco e poi hanno gettato il suo corpo nel fiume, mentre le foto del suo assassinio già circolavano sul web.
Il 14 febbraio scorso a Mersin, in Turchia, altre donne avevano risposto con lo stesso gesto di protezione e di rabbia, portando sulle spalle la bara di Ozgecan Aslan, uccisa in un tentativo di stupro, sfidando l’imam che le voleva allontanare. Centinaia di persone hanno partecipato al funerale, in quell’occasione, e nei giorni successivi molti uomini hanno indossato gonne corte per solidarizzare con le donne vittime di violenza sessuale. A Kabul ieri sono scese in piazza almeno tremila persone che chiedevano giustizia per la morte di Farkhunda, e il presidente afgano Ashraf Ghani ha istituito una speciale commissione investigativa sull’accaduto. Già 42 persone, fra poliziotti e civili, sono stati arrestati, ma la molla che ha scatenato la violenza è il fulcro del problema, che non andrà messo sotto silenzio, e le manifestazioni di questi giorni sono il segno di un dolore che esige un cambiamento. «Il Corano non giustifica la sottomissione delle donne», ha commentato Shahrzad Houshmand, iraniana, teologa musulmana, docente di studi islamici alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. «Anzi, la tradizione islamica si diffonde e si rafforza sin dall’inizio grazie alla presenza femminile accanto al profeta».
Come giudica il gesto delle donne musulmane di sfidare la tradizione portando la bara in un corteo funebre?
«Questa presenza femminile in testa al corteo come risposta a una violenza è un segnale molto forte di una richiesta di riconoscimento del valore profondo delle donne nell’Islam. Nonostante il Corano abbia cercato – al contrario di quanto si crede – di portare una rivoluzione nella situazione sociale di sottomissione della donna, vediamo che lungo i secoli l’interpretazione del testo è stata deviata e le donne musulmane hanno perso la loro posizione originale. Perché bisogna ricordare che quando il profeta Muhammad era in vita le donne erano molto presenti e attive, a partire dalla moglie Khadija, che gli rimane accanto per 25 anni, diventando la sua protettrice spirituale e incoraggiandolo nel suo compito: quando il profeta non capisce ancora quale sia la sua strada, al tempo della prima rivelazione, è proprio Khadija a confermargli che quello che sente è opera di Dio. Poi c’è Fatima, figlia di Khadija e unica erede del profeta, e infine Aisha, che dopo la sua morte si assume il compito di tramandarne i pensieri, dando così inizio alla tradizione islamica. Come è possibile dunque che le donne siano state escluse dalla vita religiosa e civile nell’Islam? Io penso che le donne musulmane si stiano rendendo conto che si è abusato della loro pazienza e misericordia e che hanno perso il ruolo che spettava loro. Mi auguro che questo sia l’inizio di una rivincita femminile che le riporti al contesto originario descritto dal Corano».
La violenza contro le donne non è però soltanto una questione interna al mondo islamico, riguarda anche l’Occidente cristiano e secolarizzato.
«Infatti c’è un luogo comune molto pesante rispetto al ruolo della donna nell’Islam: i musulmani sono più di un miliardo e mezzo nel mondo, come li si può ridurre a una caricatura? La svalutazione della donna è un fenomeno globale e anche in Europa è ben presente la violenza sulle donne, pensiamo ai dati del femminicidio in Italia: fenomeni che non si possono legare a una religione soltanto. Basta ricordare che i paesi di maggioranza islamica – Indonesia, Pakistan e Bangladesh – hanno presidenti della Repubblica e primi ministri donne. E poi pensiamo alle ultime premio nobel per la pace, tutte attiviste musulmane: l’iraniana Shirin Ebadi, la yemenita Tawakkol Karman e infine, pochi mesi fa, la giovanissima pakistana Malala Yousafzai. E’ una benedizione se il femminile torna sulla scena».