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La missione, un valore da recuperare

Intervista a Laura Casorio, nuova responsabile degli “inviati” per conto del mondo protestante francese

 

Un nuovo concetto di missione vista «come occasione di apprendimento reciproco, come costruzione di un nuovo linguaggio comune che permetta di comunicare le proprie differenze senza necessariamente cadere nell'uniformità». Laura Casorio spiega così l’evoluzione della missione nella percezione e nell’esperienza quotidiana sul campo delle Chiese protestanti. Dopo quattro anni di lavoro alla Cevaa (la Comunità delle Chiese protestanti in missione) come responsabile dei progetti, adesso Casorio (che ha anche lavorato per dieci anni alla Fcei e ha un’ampia esperienza internazionale) è da pochi mesi al Defap, il servizio protestante in missione delle chiese francesi. Proprio per averla apprezzata negli anni alla Cevaa, il Defap l’ha voluta come responsabile degli “inviati”, ovvero di tutti coloro che partono in missione per conto del protestantesimo francese.

Cos’è esattamente il Defap e cosa fa?

«E’ il servizio protestante in missione. Nato dalla dissoluzione della Missione di Parigi che ha portato le chiese protestanti francesi in tutti gli stati in cui lo stato era presente (Africa, Regione pacifica, e Oceano indiano principalmente)il Defap è ancora ospitato nei suoi locali storici di boulevard Arago dove dal 1822 si lavora al servizio della missione attraverso relazioni internazionali, un servizio più incentrato e rivolto alle chiese francesi, e dove c'è la biblioteca/archivio che costituisce un suo unicum custodendo alcuni pezzi unici soprattutto per quanto riguarda cartografia e i documenti delle relazioni con i Paesi di riferimento».

In questi anni, tra Cevaa e ora Defap hai avuto una visione d’insieme dell’impegno missionario protestante...

«Molto spesso si definiscono la Cevaa e il Defap come due organizzazioni sorelle: la prima impegnata verso l’utopia che vorrebbe tutte le chiese su uno stesso livello e impegnate verso un unico fine missionario secondo il principio del “ciascuno doni quanto può, ciascuno riceva quanto di cui ha bisogno”; la seconda è espressione dell’impegno delle chiese francesi che data di diversi secoli. Direi che i temi dell’impegno sono sempre iscrivibili in tre grandi aree: l’annuncio dell’Evangelo, azioni sociali ed educative, e solidarietà con le popolazioni locali. Nei secoli, così come negli ultimi decenni, sono cambiati i modi e gli strumenti a disposizione, cercando, per quanto possibile, di seguire l’evoluzione naturale dei contesti sociopolitici nei quali si agisce».

Che differenza trovi tra la sensibilità missionaria delle chiese francesi e quella delle nostre chiese?

«Nelle chiese italiane si parla e si agisce nella diaconia comunitaria (locale) si parla e si agisce nel campo dei diritti per i minimi, gli ultimi, i marginalizzati: la tradizione della missione è relegata a piccoli comitati, nonostante l’istituzione di una domenica della missione la cui colletta viene annualmente inviata alla Cevaa. Manca a mio avviso, al nostro interno, un richiamo esplicito al linguaggio tipicamente ecclesiastico della missione che faccia riconoscere al nostro interlocutore chi siamo e perché agiamo in questo senso. Le chiese francesi, invece, hanno una storia missionaria ben definita, fin dal 1822 hanno creato una struttura per sostenere i propri missionari, struttura alla quale anche i missionari italiani si sono appoggiati per le loro missioni in Africa. Questa azione è continua, e si iscrive in un contesto nazionale nel quale la Francia ha mantenuto e mantiene contatti e programmi di scambio e cooperazione con le ex-colonie. Oggi ci sono circa 120 persone in servizio in oltre 20 Paesi del mondo, a cui dovremmo aggiungere una trentina di persone che partecipano a missioni di breve durata (da 2 settimane a 2 mesi)».

E’ previsto un sostegno pubblico per il servizio missionario?

«No, anche perché le chiese protestanti francesi non usufruiscono di alcun finanziamento pubblico (nello stato inventore della laïcité non è nemmeno immaginabile oggi un sistema come quello dell’Otto per Mille italiano), ma nonostante tutto riescono a destinare una percentuale importante delle proprie risorse a questo settore di attività definito strategico per l’essere stesso della chiesa».

Come è cambiato negli anni il concetto di “missione” nel mondo protestante?

«I grandi cambiamenti sono avvenuti con gli anni dell’indipendenza degli stati africani dalla madrepatria (anni ’60) cui ha fatto seguito anche la creazione di chiese nazionali, indipendenti dalle chiese della madrepatria con cui, ben inteso, hanno mantenuto relazioni privilegiate di sostegno. Oggi come oggi la missione è intesa anche come occasione di apprendimento reciproco, come costruzione di un nuovo linguaggio comune che permetta di comunicare le proprie differenze senza necessariamente cadere nell’uniformità: un fine, ben inteso. I lavori sono in corso, ben lungi dall’essere terminati».

 

Foto: Laura Casorio

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