Francia. «Vivere insieme la libertà di coscienza»
14 gennaio 2015
Intervista al presidente della Federazione protestante di Francia, past. François Clavairoly
Oltre 3,5 milioni di persone a Parigi e nelle grandi e medie città di Francia, una cinquantina di capi di Stato e di governo che sfilano in piazza della Repubblica, responsabili cristiani, ebrei e musulmani fianco a fianco: la marcia organizzata domenica 11 gennaio in memoria dei 17 giornalisti, poliziotti e clienti di un negozio kosher assassinati la settimana scorsa da terroristi islamisti è stato, per la Francia come per il mondo, un raro momento di unità e di solidarietà.
Il presidente della Federazione protestante di Francia, il pastore François Clavairoly aveva chiamato, fin dal venerdì, a partecipre a questa marcia. «Lo slancio di fraternità che ci anima e la volontà di ribadire in modo solenne il nostro attaccamento ai valori che fondano la Repubblica devono mobilitarci, ha spiegato in un comunicato. La libertà di coscienza, principio stesso della fede protestante e vissuta nel nome di Gesù Cristo, è inespugnabile».
La stampa si interrogava questa mattina sul possibile seguito a questo slancio di solidarietà. Quale potrebbe essere secondo lei?
«Lo hanno detto tutti, ci sarà un prima e un dopo gennaio 2015, talmente brusco e violento è stato lo shock. Il “dopo” è prima di tutto il prendere coscienza che tutti i cittadini hanno un ruolo, una responsabilità da esercitare, nell’esercizio del vivere insieme. Tutti senza eccezione. Il grande numero di giovani che hanno partecipato a queste marce di unità e di solidarietà mi rende ottimista. Una manifestazione può essere una prova qualificante, un momento chiave nella vita di un giovane, l’evento fondatore di un impegno cittadino. Penso che molti giovani si ricorderanno di questa giornata triste e felice al tempo stesso come di un evento che ha segnato la loro vita. L’altro “dopo” riguarda la laicità.
Con la Repubblica, siamo passati da un regime di cattolicità a un regime di laicità. Questo regime di laicità, i protestanti lo hanno co-prodotto e i cattolici vi hanno acconsentito: ora tocca ai musulmani impegnarvisi. Credere vuol dire pensare! Questa frase di Paul Ricœur è oggi più che mai attuale: credere non vuol dire semplicemente praticare e difendere la propria religione, vuole anche dire pensarla, cioè farla passare al fuoco della critica e della ragione. E quando la religione diventa matta, bisogna curarla».
Alcuni affermano che i tre terroristi non erano direttamente responsabili dei loro atti. Qualcuno ha perfino invitato a pregare per loro...
«Bisogna smetterla di dire che i terroristi sono degli irresponsabili: ciò equivale a fare credere che ci sono scusanti ad assassinare gente con il talashnikov in pieno centro di Parigi. E non si prega per i morti. Essi sono nelle mani di Dio. I morti non ci appartengono. Possiamo ovviamente pensare alle famiglie di questi jihadisti che probabilmente sono in uno stato di immensa disperazione.
Domenica sera, ho partecipato alla cerimonia della grande sinagoga di Parigi con l’accensione di 17 candele. È stata una donna musulmama, madre di uno dei due militari assassinati da Mohamed Merah a Tolosa nel 2012 ad accendere l’ultima. Questo aveva un senso: la riconciliazione dei viventi».
(Traduzione dal francese di Jean-Jacques Peyronel)